Un silenzio lungo sei anni. Tanto ha atteso Gianni Amelio prima di tornare dietro la macchina da presa e intraprendere un nuovo progetto dopo il successo di Così ridevano, Leone d'Oro nel 1998. Ancora Venezia, dunque, e di nuovo in concorso, accettando il rischio del giudizio di una giuria eterogenea e internazionale, differente per cultura e formazione. Nel caso di Le chiavi di casa i giurati non avranno però difficoltà a penetrare il senso del film, che parla al cuore prima che alla testa. Potrebbe essere muto e ugualmente chiaro: gli sguardi, i gesti, i sorrisi sono sufficienti a raccontare l'innamoramento da parte di un giovane padre nei confronti del figlio disabile, anni addietro rifiutato a causa dei suoi limiti. Il loro in verità è un lento avvicinamento reciproco. Gianni, un intenso Kim Rossi Stuart, e Paolo, il sorprendente Andrea Rossi, insieme compiono un viaggio che dovrebbe essere di dolore e invece si rivela di gioia. Prima in Germania, per una visita in una clinica specializzata, poi in Norvegia alla ricerca di una "amica di penna" di Paolo, i due si prendono le distanze, si rifiutano e alla fine amano coscienti che la propria felicità passi attraverso l'accettazione dell'altro. E Amelio sottolinea giustamente questo ultimo aspetto, il passo più difficile non è compiuto da Gianni nei confronti del figlio, piuttosto quello di Paolo verso un padre che lo ha ignorato. In questo senso Paolo potrebbe anche essere un bambino uguale agli altri, quello che lo fa diverso è il rifiuto. Il nucleo del film è dunque tutto incentrato sul tema padre-figlio, un argomento caro ad Amelio e che l'autore scandaglia sotto diverse forme in ogni sua opera. Non che la malattia non abbia importanza all'interno del film, che oltre a servirsi di un attore nella vita diversamente abile, si svolge in gran parte in un vero ospedale tedesco dove vengono curati giovani disabili. La diversità è però palesemente una metafora, per quanto sia inevitabile che i legami tra genitori e figli problematici siano infinitamente più complessi e dolorosi. E controversi, come dimostra la figura di Charlotte Rampling, madre dolorosa che pur di non veder più soffrire la figlia confessa di averle augurato la morte. Un pensiero prontamente sepolto in fondo all'animo, reso innocuo da un amore totale che è più forte di tutto.