Esordio alla regia di una delle più carismatiche interpreti del cinema americano, Land rappresenta per Robin Wright un banco di prova come attrice prima ancora che nella nuova veste da regista. A cinquantacinque anni, dopo aver raggiunto il vero successo con la mefistofelica Claire Underwood di House of Cards, Wright sa che le eventualità di poter essere protagonista sono rare: se mancano le occasioni, dunque, meglio crearsele.

E Land, dramma indie in pieno stile Sundance (dove è stato presentato a gennaio 2021), si regge su un personaggio femminile molto stimolante per un’attrice matura e pienamente consapevole dei propri mezzi come Wright: una donna che, dopo aver vissuto una tragedia indicibile, si isola in una capanna nel deserto del Wyoming.

Il dolore è lacerante, la sopravvivenza si fa anticamera di una fine annunciata e accarezzata, lo smarrimento istiga a scelte radicali più volte tentate: sarà un incontro con un’altra anima ferita a morte a indicare una rinnovata possibilità di vita.

Come nel coevo Nomadland, l’elaborazione del lutto si misura con l’en plein air, con i grandi spazi della natura nel solco della tradizione americana. Ma se nel pluripremiato film di Chloé Zhao la risposta sta in una ritrovata connessione sentimentale tra persone ai margini della narrazione ufficiale al crocevia della crisi socio-economica, qui il discorso è più intimo e intimista, con la natura chiamata a sottolineare quanto la presenza umana sia ingranaggio, frammento, perfino accidente, di un disegno più complesso.

 

Scritto da Jesse Chatham ed Erin Dignam, Land lavora sui silenzi, riduce l’enfasi a minimi termini, sceglie la sottrazione come chiave d’accesso a un corpo che si sente terra desolata. Pur non essendo particolarmente originale, il rapporto tra il paesaggio interiore e l’orizzonte esterno è fertile. E se davanti alla macchina da presa Wright si dimostra misuratissima nel dare forma al trauma, è dietro che si dimostra attenta a frenare la retorica di una storia che rischiava di rimanere intrappolata nelle pieghe della sua tristezza.

Da interprete le fa da contraltare Demián Bichir, cacciatore che le dà istruzioni per sopravvivere e nel cui dolore la protagonista si rispecchia; da regista si avvale del contributo di Bobby Bukowski, autore di una fotografia cupa ma capace di lasciare sprazzi di speranza cogliendo la bellezza nascosti di una natura apparentemente solo ostile. Film piccolo, Land, ma che testimonia l’intelligenza e la sensibilità di Wright.