Un film con Isabelle Huppert è sempre un film su Isabelle Huppert e Les promesses, che apre Orizzonti a Venezia 78, non fa eccezione. Perché nel tratteggiare l’indomita, contraddittoria, umanissima sindaca di una città della regione parigina, Huppert si misura con un personaggio che le appartiene totalmente per forza apparentemente invulnerabile e costante esercizio del dubbio.

Opera seconda di Thomas Kruithof dopo il noir La meccanica delle ombre, Les promesses mette in campo sin dal titolo le parole della politica, il loro peso specifico e la loro dimensione simbolica. Sono le parole, in particolare, di Clémence, che prima di completare il secondo – e ultimo, come ha promesso – mandato come prima cittadina vorrebbe ottenere un cospicuo finanziamento per riqualificare un complesso abitativo allo sfacelo, minato dalle carenze strutturali e da sfruttatori senza scrupoli.

Al suo fianco, il devoto capo dello staff Yazid (Reda Ketab, una faccia che è la cartografia di un mondo), che in una di quelle case ai margini ci è nato e da lì se ne è andato. Un sodalizio strettissimo, in un certo senso rappresentazione del rapporto di fiducia costruito dalla sindaca con i cittadini che le riconoscono impegno e dedizione, che però viene messo alla prova quando Clémence si lascia sedurre dalla prospettiva di diventare ministro.

Come un altro film francese dedicato alla politica e ai suoi meccanismi, l’ottimo Alice e il sindaco, Le promesses è una riflessione sul senso del fare politica (anche) nella Francia di Macron – il giovane capo di gabinetto ne è l’immagine visivamente efficace; il navigato tecnocrate ne è quella meno esposta ma sempre presente – e, più in generale, nell’Europa in affanno nel dialogare con i popoli che la compongono.

Con un atto per certi versi davvero controcorrente rispetto ai venti che soffiano più forti, Kruithof – che ha scritto il film con Jean-Baptiste Delafon – fa della politica un affresco complesso e stratificato ma pieno di ammirazione, riuscendo a tradurre l’impianto teorico in una narrazione ben congegnata, pur con qualche caduta nel ritmo.

E lo fa senza mai sconfinare nel santino, anzi mettendo in luce gli aspetti anche spigolosi e perfino urticanti dei due personaggi principali, dagli sguardi di Clémence travolta dal desiderio di potere agli istanti in cui Yazid perde il controllo tornando il giovane nato e cresciuto nelle banlieue. È anche la storia di un’amicizia insolita tra due idealisti che fanno di tutto per non apparire più puri e visionari: e in questo film spesso grigio e plumbeo, l’unico raggio di sole verso il finale annuncia la fine di un cammino e l’inizio di un nuovo corso.