Divorziato, 40 anni, Lucas (Mikkelsen) ha da poco un nuovo lavoro nell'asilo nido locale. Inizia anche a frequentare una collega e sta finalmente ricostruendo un rapporto con il figlio adolescente, Marcus. Si avvicina il Natale, e con le prime nevi anche una piccola bugia può diffondersi in maniera letale, come un virus. La piccola Klara, figlia dei suoi più cari amici, accenna alla maestra di qualcosa che la vedrebbe coivolta con Lucas. Qualcosa di osceno, di irrimediabile. Basta il sospetto, l'uomo è tagliato fuori da tutto: l'intera comunità si ritrova unita, tutti (o quasi) sono contro di lui. La caccia sta per avere inizio.
Quattordici anni dopo Festen, Thomas Vinterberg torna in Concorso a Cannes: allora fu una rivelazione, stavolta è un capolavoro. Il suo Jagten (The Hunt) indaga gli spaventosi territori nei quali può ritrovarsi un uomo, prima stimato e benvoluto da tutti, poi osteggiato e trattato alla stregua di un perfido criminale.
Scritto (insieme a Tobias Lindholm, già sceneggiatore del precedente Submarino) e diretto con precisione chirurgica, il film è astuto, ma non furbo: l'assunto è quello che da sempre accompagna le convinzioni degli adulti ("i bambini non mentono mai"), lo sviluppo quello di un racconto d'assedio. La grandezza di Jagten - per il quale Mads Mikkelsen (alla prima prova con Vinterberg) fornisce l'ennesima, enorme interpretazione - è proprio quella di non ricorrere al trucco, al colpo basso di far credere allo spettatore qualcosa che non è: Lucas è innocente, lo sa lui, lo capiamo noi. E l'empatia nei confronti del personaggio è totale, sincera: in questo, Vinterberg compie un miracolo cinematografico, invocando aiuto per il suo protagonista, ingiustamente accusato e fatto fuori da qualsiasi attività sociale, progressivamente sempre più solo con il suo dolore. Ovviamente Lucas perde il lavoro, la sua situazione si aggrava dopo che altri bambini, gli stessi che prima del racconto di Klara lo adoravano aspettandolo nel cortile del kindergarten, iniziano a convergere verso la stessa versione dei fatti, al supermercato viene malmenato e buttato fuori: la calunnia si è fatta cancro, Lucas è un mostro. Un pedofilo. Lo è diventato per volere degli adulti (si pensi alla scena in cui la piccola Klara è "interrogata" dallo psicologo), di gran parte dei suoi vecchi amici, in primis la mamma e il papà della bambina, quest'ultimo combattuto sin dall'inizio sulla reale colpevolezza di Lucas.
Anche qui, il regista danese è bravo a far emergere gli aspetti contraddittori di una situazione inaspettata, impensabile e dalla gestione difficilissima: nei fatti è un tutti contro uno, ma c'è ancora qualcuno disposto a non trasformare l'uomo in una facile preda, in primis il figlio Marcus e con lui un altro amico di Lucas, padrino del ragazzo. E non sbaglia a condurre il racconto verso un finale (magnifico) che solamente in apparenza sembra riportare le convinzioni della comunità sui binari del vero. Il senso profondo di Jagten è tutto lì: confermato colpevole o rilasciato dalle autorità competenti, "perdonato" o meno dal padre di Klara, tenuto ai margini o reintegrato nel gruppo, Lucas - per sempre - sarà considerato un mostro. Qualcuno che, in un momento o nell'altro, proprio come i cervi che da sempre ama cacciare con gli amici, potrebbe fare la fine che "si merita". Eccezionale.