Cuba, Sanremo, Parigi, Torino, Roma e l’Ombrosa del Barone Rampante, come centro di gravità permanente. Duccio Chiarini, a cento anni dalla nascita, costruisce uno reticolato spaziale intorno a Italo Calvino attraverso i luoghi topici della sua esistenza.

Vita, opere, amori, delusioni, ripensamenti di uno scrittore, partigiano, editore, militante, comunista (poi disilluso). Il breve doc ne abbozza a tutto tondo la parabola esistenziale, sentimentale, morale, letteraria.

Chiave di volta è, come accennato, il realismo fiabesco del Barone, il romanzo più noto, tradotto, citato (anche a sproposito) del nostro Novecento letterario. La voce narrante di Manuela Mandrocchia, dall’incipit all’explicit, tesse la tela di questa biografia su committenza (Panama Film) senza arie antologiche, né da compendio, che si sporge con devozione, curiosità e forse troppa asciuttezza emotiva sul balcone del labirinto di un’intellettuale molteplice, contraddittorio, polimorfo, stratificato per definizione e vocazione.

Doc da salotto (notevole la messe di intervistati, dalla figlia Giovanna Calvino a Paolo Virzì), lavora di sintesi ed ellissi. Funziona, così, come agente di curiosità, come invito alla lettura, alla scoperta del macrocosmo Calvino, intreccia la cronologia con i libri con ritmo mai sovraeccitato, sempre compassato, volutamente (e giustamente) lacunoso, qui e là però forse troppo timido nelle toccate e fughe su certi snodi salienti del sentiero Calvino.

Tra filmati d’archivio e foto d’epoca, scorrono e si rincorrono, dal 1923 al fatale 1985, la Hollywood anni Trenta (prima palestra di scrittura per il giovane sanremese) e il Maestro Pavese, Vittorini e l’OuLiPo, Marx e Qfwfq, il signor Palomar e Antonioni. In mezzo, spazio ai comizi d’amore con Chichita-Ludmilla (parola di Giovanna Calvino), al trauma della rivoluzione ungherese con conseguente straccio della tessera del PCI, e alla Sanremo devastata nel dopoguerra dalla Speculazione edilizia.

Dopo L’isola di Calvino, Chiarini rimette l’autore nel suo contesto culturale, apre e chiude il cerchio facendo reagire forma e sostanza, fissità dell’angolo, meglio dello sguardo (letterario) d’indagine (un romanzo che è fiaba sì, ma anche allegoria politica) e fluidità di una vita magmatica e multiforme, come le città che la punteggiano: dalla sanremese Villa Meridiana riempita di alberi cubani dai genitori, alla grigia Torino della gioventù, feudo di Einaudi. E poi ancora, in volo verso i grattacieli di New York, le guglie e il Quartiere Latino di Parigi, i tetti e le campane di Roma, sognando sempre, ancora l’America di quelle Lezioni iniziate e incompiute.

Comunista e borghese, popolare e aristocratico, eremita e associazionista, scientista e favolista. Chiarini cerca, a volte trovandola altre no, una poetica di metodo con la quale registrare scosse e scatti in avanti di un autore che è contraddizione, in eterna revisione di sé stesso. Il trasporto iniziale della regia area su Sanremo, però, resta a lungo andare congelato, la sceneggiatura (dello stesso Chiarini con Sofia Assirelli) ha il fiato corto per troppo rincorrere i rivolgimenti continui di una biografia, che in Calvino sono sempre anche rivolgimenti della (sua) letteratura.

Si intravedono, allora, solo di scorcio sprazzi, convinzioni, recriminazioni lunghe mezzo secolo di un intellettuale alla continua, frustrata ricerca, nella vita come sulla carta, di uno sguardo esaustivo perché distanziato, rapido perché delimitato su un mondo alla fine della sua decadenza. Come quello di Cosimo Piovasco di Rondò.