Primo film dichiaratamente commerciale di Spike Lee, Inside Man è forse - lo diciamo subito - la sua opera più matura e riuscita. Con tre protagonisti: Keith Frazier (Denzel Washington), un detective in cerca di riscatto dopo essere stato coinvolto in uno scandalo per corruzione, Dalton Russell (Clive Owen), un criminale che fa irruzione in una banca di Wall Street e prende in ostaggio 50 persone, e Madeline White (Jodie Foster), una potente intermediaria di Manhattan. A metterli insieme ci pensa Spike, con camera sempre in movimento e montaggio serrato, rispettando le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione e infarcendo le immagini dello humour peculiare che l'ha reso famoso. Con un obiettivo: alleggerire senza svilire il Male verso cui si rivolge la macchinazione di Clive Owen / Dalton Russell, ovvero l'Olocausto fiancheggiato dal villain per ragioni economiche. Ed è proprio l'economia globale l'altro bersaglio di Spike: dall'accusa di corruzione a Keith Frazier alla misteriosa intermediaria che tiene in pugno il sindaco (la politica) di NY fino all'irruzione in banca, in cui la via d'uscita programmata poggia sull'assenza di identità, ovvero sulla non differenza tra gli individui, con rapinatori e ostaggi ugualmente mascherati. Politico e ideologico, dunque, il significato della rapina e del film stesso, un Inside Man che scava nelle sporcizie della (a-)morale contemporanea. E questo in un film commerciale, melting-pot riuscitissimo di thriller, poliziesco e commedia, non è poco, anzi è moltissimo. Se poi aggiungiamo una suspense e un meccanismo a orologeria che riscrivono le regole detatte da Sir Alfred Hitchcock e attori in palla come non mai - Washington ritrova per la quarta volta Lee in un'interpretazione maiuscola, la Foster ammalia di cinismo e Owen se la ride sotto la maschera - il risultato è formidabile. Da vedere.