Una regina è disposta a tutto pur di avere un figlio. Una principessa, suo malgrado, è destinata a trascorrere il resto dei suoi giorni con un orco. Una povera vecchia non riesce a sottrarsi alla menzogna pur di trascorrere una notte con il re, ma un sortilegio cambierà per sempre la sua vita.

Sospeso tra il baratro di crepacci inospitali e le insidie di labirinti di pietra, incastonato in un passato epico e ipotetico, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone (il 14 maggio in concorso a Cannes e nelle sale) riporta il cinema d'autore (italiano) a misurarsi con il fiabesco e con il fantastico, trovando l'impossibile alchimia tra kolossal e profondità di sguardo che, recentemente, era riuscita forse al Faust di Sokurov e al capolavoro postumo di Aleksej German, E' difficile essere un Dio.

Partendo da Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile (raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana pubblicata postuma tra il 1634 e il 1636), il regista di Gomorra e Reality sorprende ancora una volta per la capacità di rapportarsi a qualcosa di precedentemente alieno, superando gli steccati del genere e ragionando su un medioevo che rimanda comunque alle pulsioni quanto mai attuali di un presente regolato da ossessioni e perversioni.

"Da ogni desiderio scaturisce una conseguenza, da desideri così violenti ogni azione sarà altrettanto violenta": gemelli monozigoti di madri diverse (una è la regina, l'altra una serva), re allevatori di pulci, re sessuomani, donne disposte a farsi scorticare vive con l'illusione di poter tornare giovani, i racconti di Garrone si inabissano in acque popolate da draghi marini e si deformano pur di entrare nel buio di caverne dove la minaccia veste i panni di mostruose e fameliche madri.

Un'altra scena del film di Matteo Garrone
Un'altra scena del film di Matteo Garrone
Un'altra scena del film di Matteo Garrone
Un'altra scena del film di Matteo Garrone

Come fu per Gomorra, la dispersione del punto di vista consente alle tre storie di svilupparsi autonomamente e di sfiorarsi in un paio di occasioni (un funerale e un'incoronazione), consentendo alla narrazione di farsi passo dopo passo Racconto, portando in superficie le viscere di un'umanità ferina contrapposta all'ingenuità e alla violenza di bestie inconsapevoli.

Orsi ammaestrati, pulci giganti, negromanti, nani e circensi, carne e sangue, mentre "fuori" la maestosità degli ambienti rende impossibile delimitare l'orizzonte: è un cinema, quello di Garrone, che porta all'esterno la micragnosità e le bassezze dell'uomo. Proprio come Basile, "ossessionato da un fascino dell'orrido per cui non ci sono orchi né streghe che bastino, da un gusto dell'immagine lambiccata e grottesca in cui il sublime si mischia col volgare e il sozzo" (Italo Calvino, "Introduzione alla Fiabe italiane", Torino, Einaudi, 1956).

Il racconto dei racconti
Il racconto dei racconti
Il racconto dei racconti
Stacy Martin ne Il racconto dei racconti

Recitato in inglese e interpretato da un cast internazionale (tra i tanti, Salma Hayek, Vincent Cassel e Toby Jones), Il racconto dei racconti - musicato magistralmente da Alexandre Desplat (alla seconda collaborazione con il regista dopo Reality) - si muove tra atmosfere barocche e gotiche, costringe lo sguardo a misurarsi con riferimenti pittorici dichiarati (i "Capricci" di Goya) e suggestioni dei giorni nostri (si respirano momenti à la Game of Thrones) ma, soprattutto, riporta Garrone a misurarsi con il macabro e il grottesco (L'imbalsamatore), senza dimenticare il controllo e il calcolo dietro cui si nascondevano lucide follie: Primo amore.