Una faccia sotto un piede. Un camioncino e un tragitto interminabile. La prima scena di Heli di Amat Escalante, già assistente alla regia di Carlos Reygadas e in concorso al festival di Cannes , è mozzafiato. Il Messico periferico e brutale non è storia nuova eppure è come se lo fosse. La macchina si ferma, sono in due schiacciati dagli stivali di aguzzini senza volto. Stacco: uno penzola da un ponte. L'altro si salva, per ora. E' Heli. Ha una piccola casa che divide con la giovane moglie, il figlio piccolo, la sorellina e il padre anziano. La madre non c'è più. Vivono in spazi minuscoli, tutti appiccicati. Heli va a lavorare in bicicletta in una fabbrica di macchine, fa il turno di notte. La sorella ha uno spasimante. Sono innamorati, lui è militare, di quelli che devono sopportare ogni tipo di addestramento (tortura). Ma questi militari sono criminali, fanno retate grandiose, bruciano la droga per fare scalpore ma la grossa parte viene nascosta. Il fidanzatino ne trova un po', non resiste alla tentazione, la prende e la mette nel posto più sicuro che conosce: il serbatoio d'acqua, a casa di Heli. Sogna di fare tante cose con quei pacchi di eroina, neanche il tempo di osare e viene scoperto. La merce però non c'è più e a farne le spese sono gli innocenti. Heli viene picchiato con violenza insopportabile. Quando torna a casa, la sorella non c'è più. Al padre hanno sparato a bruciapelo. Passano mesi, un giorno la ragazzina torna a casa. Ha perso la parola, poi lentamente incomincia a disegnare: una strada, una casa, il posto in cui è stata tenuta prigioniera e stuprata. La violenza si trasforma in poesia: l'ultima immagine è di una bellezza straziante.