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Gli occhi degli altri
Gli occhi degli altri, i nostri occhi. In Concorso alla Festa del Cinema di Roma, è il nuovo film di Andrea De Sica dopo I figli della notte (2017) e Non mi uccidere (2021). Protagonisti Filippo Timi e Jasmine Trinca, nel cast Matteo Olivetti, Anna Ferzetti, Rita Abela, Roberto De Francesco, si ispira al delitto Casati Stampa, mettendo in scena nella bellezza selvaggia di un’isola di proprietà di un abbiente marchese, Lelio, (Timi) lo scivolamento del desiderio nell’ossessione, del gioco erotico nell’asservimento psicologico, del sesso nel potere, catalizzato dall’approdo dell’avvenente Elena (Trinca).
Sceneggiatura di Gianni Romoli, Silvana Tamma e lo stesso De Sica, ancorata all’omicidio commesso a Roma il 30 agosto 1970 da Camillo Casati Stampa di Soncino detto Camillino, poi suicida, della moglie Anna Fallarino e del di lei amante Massimo Minorenti, Gli occhi degli altri perfeziona scopofilia in quattro atti e plurime ellissi, perseguendo la marcescenza economica dell’amore, la riduzione feudale della corporeità, l’ostruzione ferale della trasgressione. Insomma, vende cara la pelle, sarà che è girato in pellicola, sarà che Lelio filma, ovvero spara, tutto.
Nel passato con esternalità attuali, nella borghesia con licenze fuoriclasse, il dramma s’avvita, s’intorcina, traballa oltremisura, ma mai abdica al dominio della forma, ovvero al dichiarato predominio degli occhi, complici contributi superbi: fotografia di Gogò Bianchi, montaggio di Esmeralda Calabria, scenografie di Alessandro Vannucci, costumi di Massimo Cantini Parrini e musiche di Andrea Farri.
Estatico ed erratico, fragile e tagliente, hitchcockiano e – Peeping Tom – powelliano, questo thriller erotico, questa (im)possibilità di un’isola – Camillino se ne stava a Zannone - non è un film per tutti, ma ha la faccia tosta, gli occhi – va be’, siamo quel che siamo – ssspaccanti e le tette rifatte per mettere sotto le coltri, tra le gambe, nelle immagini licenziose e disinibite una bomba oltraggiosa, (sub)liminale e liminare, al confine tra il possibile e il terminale, il libertinaggio e la libertà, il capitale e la pena.
Un’altra sessione di scrittura avrebbe aiutato? Un supplemento di drammaturgia avrebbe giovato? Domande retoriche, ma alla corrente e demente prevalenza della storia qui si preferisce il deliquio del racconto, il primato della bella immagine, il regno dell’icastico – relegando alla sudditanza l’imperativo morale catarattico del capire tutto. Occhio per occhio, dente per dente, gli spari sopra sono per noi.