L’Italia è un paese di/per giovani? Qual è – oggi – la risposta che i giovani immaginano alla domanda relativa al loro avvenire?

Alice Rohrwacher, Francesco Munzi e Pietro Marcello si mettono in cammino, ad inizio 2020, e intraprendono un viaggio in lungo e in largo attraverso la penisola per incontrare i ragazzi di oggi.

Francesco Munzi, Alice Rohrwacher, Pietro Marcello - credit Tiziana Poli
Francesco Munzi, Alice Rohrwacher, Pietro Marcello - credit Tiziana Poli
Francesco Munzi, Alice Rohrwacher, Pietro Marcello - credit Tiziana Poli
Francesco Munzi, Alice Rohrwacher, Pietro Marcello - credit Tiziana Poli

Da Roma a Milano, da Napoli a Verona, passando per Cagliari, Torino, Venezia e Genova (a 20 anni esatti dai tremendi fatti del G8), ma senza dimenticare le provincie meno popolose, come i paesini del Ternano o del Grossetano, le magiche sponde del Lago di Bolsena nel viterbese o le zone più depresse del palermitano, per costruire una sorta di inchiesta collettiva che ha “lo scopo di esplorare l’idea di futuro di ragazze e ragazzi tra i 15 e i 20: un ritratto del Paese osservato attraverso gli occhi di adolescenti che raccontano i luoghi in cui abitano, i propri sogni e le proprie aspettative tra desideri e paure”.

Sulla scia dei Comizi d’amore pasoliniani, anche citati da uno dei ragazzi incontrati, i tre registi realizzano così Futura (titolo che non può non far pensare all’omonima canzone di Dalla, già omaggiato da Pietro Marcello con il doc Per Lucio), ospitato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes.

Un documento che fotografa i dubbi e le (poche) certezze di una generazione colta – tra le altre cose – a cavallo di uno stravolgimento epocale come quello portato dal Covid. Una generazione composta da ragazzi che non sono più bambini ma che ancora non sono entrati nell'età adulta.

Dagli universitari della Normale di Pisa alle ragazze di una scuola di formazione per estetiste nella periferia di Napoli, può forse mutare la proprietà di linguaggio ma resta univoca la percezione di un presente che non consente di proiettarsi verso un domani così roseo.

C’è chi, ad esempio, pensa che l’unico modo per poter cambiare il paese sia quello di andarsene per poterne cogliere da lontano gli aspetti su cui intervenire, magari con un bagaglio di esperienza maggiore, oppure qualcun altro – come quel ragazzo del centro minorile in provincia di Savona – che auspica una società futura dove non saranno più i soldi a governare i rapporti tra le persone.

Un campionario variegato, colorito dalle innumerevoli cadenze dialettali, arricchite anche dai tanti ragazzi italiani di seconda generazione, fatto di aspiranti cuochi, meccanici, operai, agricoltori, studiosi, artisti, sportivi, che viene di tanto in tanto messo a confronto con operazioni analoghe fatte in passato (da Mario Soldati, ad esempio), ripescando materiale d’archivio di decenni e decenni fa per provare a ragionare su quale sia stata, c’è stata, l’evoluzione di un Paese.

Quando in realtà, tra le varie riflessioni portate su schermo da queste ragazze e ragazzi, ce n’è una che ci dovrebbe far pensare più di altre, quella relativa alla sana paura che potevano avere i giovani delle passate generazioni rispetto invece al sentimento di inquietudine attuale che ne blocca qualsiasi possibilità di libertà nello sbaglio.

Chissà, chissà

domani

Su che cosa metteremo le mani...