Vive in due prigioni la giovane Eileen Dunlop (Thomasin McKenzie): una è quella dove lavora, un riformatorio minorile dove è impiegata come segretaria, l’altra è la casa dove ad attenderla ogni sera c’è il padre alcolizzato, ex poliziotto senza più alcun interesse esistenziale e schiavo di manie di persecuzione.

A cambiare le prospettive sul (suo) mondo sarà l’arrivo di un’affascinante psicologa che prende servizio in quell’istituto, Rebecca Saint John (Anne Hathaway), donna dalla bellezza e dall’intelligenza irresistibile, irriverente e proiettata nel futuro. Futuro che Eileen continua a sognare, immaginare, lontano da lì. E da tutto questo.

William Oldroyd (Lady Macbeth) porta sullo schermo Eileen, dal romanzo omonimo di Ottessa Moshfegh (Mondadori), che firma anche lo script insieme al marito Luke Goebel, con il quale recentemente aveva scritto anche Causeway: mantenendo inalterata l’ambientazione di metà anni ’60 e il coté di provincia invernale americana e puritana, il film non si affida alla narrazione dei ricordi della protagonista (come avviene nel libro, dove la 74enne Eileen racconta i fatti di 50 anni prima) ma ci porta direttamente in quei giorni, mettendo sin da subito in chiaro alcune cose, con quella scena dove una manciata di neve servirà a raffreddare pruriginosi bollori.

“Ci sono le persone che decidono, che fanno, e poi ci sono le persone che semplicemente occupano uno spazio. Tu sei una di queste”.

Ecco, Eileen occupa uno spazio, ma la sua mente la porta spesso a fantasticare azioni che restano poi solamente la proiezione di un desiderio irrealizzabile: come quel furioso amplesso con un secondino lì sulla vetrata della prigione, o la pistolettata sotto al mento quando finalmente la polizia deciderà di togliere l’arma a quel padre ormai pericolo per se stesso e per gli altri.

E quando Rebecca finirà per coinvolgerla in quel sottoscala dove il film prenderà l’inaspettata deriva pulp/noir, forzando quel clima di tensione latente mantenuto fino a quel momento, ecco che forse l’occasione per “emanciparsi” davvero, per fare qualcosa di inaspettato arriverà davvero. O è un sogno, una fantasia anche quella?

Passato allo scorso Sundance, ora in Grand Public alla Festa di Roma, Eileen sembra quasi trasformarsi nella sua stessa protagonista: un film che in potenza potrebbe deflagrare da un momento all’altro ma che finisce per rimanere intrappolato nella sua stessa smania di sospensione, nelle molteplici traiettorie che intende disseminare (vedi l’infatuazione manifesta della ragazza verso la figura di Rebecca), con qualche strizzatina d’occhio di troppo alla forma di un cinema che fu (il font dei titoli di testa e di coda, il vecchio logo Universal all’inizio…) ma con troppe divagazioni di senso che ne minano la sostanza.