Due generazioni di donne a confronto. La prima, maturata negli anni '60, è formata da quattro amiche che ogni giovedì si ritrovano attorno a un tavolo per giocare a carte. Sfumature dell'universo femminile: la sarcastica (Margherita Buy), l'avvelenata (Paola Cortellesi), la romantica (Marina Massironi) e l'ingenua (Isabella Ferrari), quest'ultima in dolce attesa. Sul tavolo, oltre alle carte, segreti e bugie del gentil sesso. Chi ha il marito con l'amante, chi l'amante e il marito, chi combatte con la distrazione degli uomini, chi con le preoccupazioni del parto, e tutte con la frustrazione latente. Passano 30 anni e intorno a quel tavolo si siedono le figlie (Carolina Crescentini, Valeria Milillo, Claudia Pandolfi e Alba Rohrwacher). I tempi sono cambiati, gli uomini hanno perso potere e gli angeli del focolare hanno fatto carriera. Ma il pianeta donna non ha ancora trovato la sua bussola… Tratto dalla pièce di Cristina Comencini, Due partite è Quello che le donne non dicono per immagini, con la fatica di durare molto di più. Monteleone, lontano dal cinema dai tempi di El Alamein (2002), ci mette la firma e nulla di più. Conserva il tavolo da gioco, i colori pop, la ferrea suddivisione in 2 atti: il primo finisce con una nascita, il secondo inizia con una morte. Ci spalma sopra canzoni d'epoca (3 sono di Mina: Se telefonando, E' l'uomo per me e Un anno d'amore, con l'aggiunta di un brano di Ludovico Einaudi che nei '60 avrà avuto dieci anni!), citazioni colte (Silvia Plath e Rilke), qualche rigurgito post-femminista, e la frittata è fatta. Insipida e indigesta. Un'ora e mezza di primi e primissimi piani all'interno di uno spazio unico, e interminabili monologhi su famiglia, figli e lavoro che, se esaltano tic e smancerie delle interpreti, stordiscono il pubblico. Dopo venti minuti manca già l'aria, ma a restarci secca è soprattutto la personalità della donna, capace di definirsi solo a partire da un paradigma maschile. Doppio equivoco, ideativo e formale, e un pessimo risultato: Due partite, zero punti.