"Non so se per cambiare o per gli extraterrestri che vorranno sapere come siamo finiti", comunque, è Draquila – L'Italia che trema di Sabina Guzzanti, che porta in sala e fuori competizione al 63esimo Festival di Cannes le macerie politiche e sociali del recente terremoto aquilano.
Diciamolo subito, in un Paese normale Draquila sarebbe andato in televisione, ma visto che normale è da tempo un attributo dimenticato dall'Italia “furbetta” è il grande schermo ad accoglierlo, seppure il 99% lo conosciamo già, perché visto - ad Annozero, Ballarò, etc. - o letto. Quindi, non è nella novità il terrore di Draquila, bensì nella cronologia, armata (le forze dell'ordine) e disarmata (“l'analfabetismo” di non ritorno…), dell'affaire aquilano, che riproduce in stretta connessione alle magnifiche sorti e regressive di Berlusconi (la Guzzanti torna a impersonarlo).
Dunque, il doc-inchiesta non produce, ma mette ordine nella mole di informazioni terremotate: non decostruisce la ricostruzione, bensì ne stigmatizza gli agenti poco segreti, a partire dalla B trinitaria di Berlusconi, Bertolaso e Balducci fino alla disamina della persistenza della dittatura, pur vuota e fasulla. In mezzo, la sottoesposizione omertosa dell'italiano medio, su cui Sabina non infierisce, anzi “partecipa”, ma il controcanto socio-politico è affidato a persone troppo caratterizzate in senso alternativo perché la sintesi sia efficacemente “bipartisan”.
Rimane un discreto prodotto da esportazione - perfetto l'approdo sulla Croisette - che ci ricorda come siamo: ipovedenti in tv, fuoriluogo al cinema. Se non è orrore...