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Quindici anni dopo il primo dei tre capitoli di un franchise che ha fruttato oltre 1,5 miliardi di dollari ai botteghini mondiali, ecco arrivare la versione live action – la prima in casa DreamWorks, che di successi cartoon ne ha sfornati parecchi, da Shrek a Madagascar – di Dragon Trainer.
In cabina di regia lo stesso Dean DeBlois, già artefice della saga animata nonché regista del fortunato Lilo & Stitch (2002), che proprio in questi giorni sta rivivendo sugli schermi, anche quello in formato live action, con un incasso attuale di oltre 600 milioni di dollari worldwide.
Ma torniamo sull’isola di Berk, luogo dove riprende le mosse la vicenda già narrata dai libri di Cressida Cowell (How to Train Your Dragon), libri a cui il franchise si ispira.


Vichinghi e draghi sono acerrimi nemici, conflitto che si perde nella notte dei tempi e che non prevede mezze misure: tra gli abitanti dell’isola c’è il giovane Hiccup (Mason Thames), letteralmente “singhiozzo”, ragazzo di grande inventiva – è l’assistente apprendista del fabbro Skaracchio (Nick Frost) – ma non proprio considerato alla pari dai compaesani né dai coetanei, che si allenano per diventare i nuovi Sterminatori (di draghi, si intende).
Nonostante questo, Hiccup non demorde, vuole dimostrare al padre, il capovillaggio Stoick l’Immenso (Gerard Butler, imponente), che anche lui può essere in grado di catturare un drago.
Il bello è che ci riesce, con l’esemplare più inafferrabile di tutti poi, una Furia Buia: non se ne accorge nessuno, però, come nessuno – almeno all’inizio – si accorgerà che da quella cattura prenderà le mosse un cambio di paradigma capace di ribaltare una tradizione secolare.
Dal punto di vista filologico e narrativo le differenze tra questa nuova versione e l’animazione originale sono pressoché nulle: DeBlois si affida ciecamente all’impianto noto, non rinunciando però ad arricchire di maggiori sfumature i personaggi principali (come Astrid, la ragazzina battagliera di cui Hiccup è da sempre innamorato, qui interpretata da Nico Parker, figlia del regista Ol e dell’attrice Thandiwe Newton), ampliando un po’ la mitologia generale di tutto il racconto e cercando di rendere maggiormente immersivo l’apparato action e spettacolare, di indubbio impatto, tra le peripezie volanti di Hiccup in sella al suo Sdentato e la pirotecnica battaglia del pre-finale con la gigantesca Morte Rossa.


La cosa più importante resta comunque quella di aver salvaguardato il cuore del prototipo animato (sul senso di riportarli in vita in versione live action, trend che ormai da anni caratterizza le produzioni Disney, è inutile star qui a fare troppa filosofia, in prima battuta è semplicemente una questione di soldi, con fortune più o meno alterne), e con esso l’importantissima chiave di lettura mai così attuale in tempi tribolati come questi: nello sguardo delle nuove generazioni va ricercata la possibilità di invertire convinzioni capaci solo di tenere accesa la fiamma dei conflitti. Perché attraverso la conoscenza reciproca, pur rispettando le inevitabili differenze, sarà possibile non solo volare sul dorso dei draghi, ma anche fare in modo che la comunità tutta riesca a conviverci amichevolmente.