Dad dello sloveno Vlado Skafar - alla SIC - potrebbe essere materiale di studio sull'uso e il significato della dissolvenza incrociata. Per circa cinquanta minuti del film, sui totali sessantanove, la storia lineare di padre e figlio che trascorrono insieme una giornata tra boschi e fiumi, diventa un banco di prova su come si possa enunciare e sviluppare un racconto per immagini grazie ad un segno d'interpunzione così poco nobile del linguaggio cinematografico. La dissolvenza incrociata in Dad lega il narrato e non lo separa, come una sorta di compenetrazione continua tra un'immagine e quella prevista come successiva.
I semplici gesti del pescare, dello sdraiarsi o camminare tra i prati dei due protagonisti, non sono mai sequenze in sé (non hanno sviluppi narrativi tali da renderli veri e propri piani sequenza) e non sono mai interrotti tra una scena e l'altra, ma acquisiscono un lento fondersi, un osmosi, che da scelta di linguaggio diventa elemento significante della materia narrata.
Il rapporto tra il padre, un po' ignorante e rozzo, e il bambinetto biondo angelico piuttosto emancipato, rivela una distanza che si scoprirà dovuta alla separazione dei genitori che ha portato il bimbo a crescere con la madre. Il cinema, quindi, è mezzo per ricucire lo strappo, per ridonare equilibrio, per rimettere in sesto la mancanza strutturale del rapporto familiare probabilmente sfaldatosi lentamente nel tempo. Illustrato questo preambolo che poi è la cifra poetica ed estetica del film, Skafar sorprende con un paio di blocchi finali di pochi minuti dove veniamo a scoprire una sorta di coté politico-sociale: nei luoghi bucolici dove il film è stato girato molti operai stanno perdendo il lavoro. Molti padri, quindi, non potranno costruire un futuro materiale per i propri figli.
Dad ne ipotizza uno, lo regala al pubblico nella sua naturale e affascinante levità di messa in scena. Un cinema forse fin troppo avanguardistico, studiato e levigato, nonostante un budget alquanto ridotto, ma che sa far capire allo spettatore le enormi potenzialità che quest'arte ancora possiede. Meglio sedersi sulla poltroncina, fluttuare tra i rami e le foglie smosse dal vento, guardare come due esseri umani possono tornare a mostrare i propri sentimenti l'uno per l'altro. Padri e figli, senza più conflitti, finalmente vicini, grazie ad una macchina da presa.