Guerra del Vietnam. 26 febbraio 1978, Chicago, Muhammad Ali: “La mia coscienza non mi permette di sparare a un mio fratello. (...) E perché dovrei sparargli? Non mi hanno mai chiamato "negro". Non mi hanno mai linciato.”. 4 aprile 1967, New York, Martin Luther King: “Siamo convinti che l'America non sarà mai libera o salvata da sé stessa, se i discendenti degli schiavi non saranno liberati dalle catene che ancora li legano”. Ali apre, King chiude, in mezzo Spike Lee fa Spike Lee e le canta all’America, di nuovo nel Nam, e nei Nam-movies, seguendo quattro veterani, quattro fratelli neri, più il figlio del leader- Re Lear Paul (Delroy Lindo), alla ricerca dell’oro e del quinto fratello, Stormin’ Norman (Chadwick Boseman) caduto in battaglia. Marvin Gaye si fa sentire – l’antibellica What’s Happening Brother a mo’ di musical – e Donald Trump si fa vedere sui cappelli MAGA e si becca del “motherfucker”, nel mentre Spike celebra Black Lives Matter e condanna lo “schiavista” George Washington, facendo agit-prop senza dimenticare il cinema: una chicca su tutte, la scelta di accostare al giovane Norman, “che fu il nostro Malcolm e il nostro Martin”, i vecchi, ovvero contemporanei, commilitoni nelle sequenze back in the days.

Prodotto da Netflix con evidente dispendio di forze e capitali, “Paul e i suoi fratelli” o, se preferite la correttezza politica, “Norman e i suoi fratelli” rilancia il fiancheggiamento cineideologico alla causa afroamericana di Lee, trovando più respiro e ambizioni rispetto al precedente, sopravvalutato, e però forse maggiormente simbolico, BlacKkKlansman (2018). Nel cast la carogna Jean Reno e la bella Mélanie Thierry in quota sminamento, Da 5 Bloods punta, se ci saranno, agli Oscar. Perché, e i riots dopo l’assassinio di George Floyd confermano, Time Has Come Today, come cantano i Chambers Brothers: a proposito, ma voi i neri combattere in Vietnam li avete mai visti al cinema? Già, oltre a Rambo c’è di più: la verità, per esempio.