In Ecuador, nella città di Cotacachi, numerosi statunitensi ormai in pensione conducono una vita dignitosa che l’America, quella del Nord, non avrebbe mai potuto loro concedere.

All’inseguimento dell’ideale intramontabile dell’American Dream, i protagonisti Michael, Bruce e Claudia, Diane e Cynthia trascorrono il proprio tempo gingillandosi nell’accumulo di oggetti, tra memorie del passato e sogni di borghesia a basso prezzo.

Il cinema del reale italiano vive una fase di indomita energia, è inutile negarlo, e all’interno di questo filone si inserisce anche il lavoro di Stefano Cravero e Pietro Jona (entrambi all’esordio in un lungometraggio), opera che si interroga sul senso e sulla possibilità di andare in cerca della felicità a migliaia di chilometri dal luogo della propria origine.

 

Il quadro che ne viene fuori è nondimeno grottesco: esiliati dal mondo in una sorta di limbo-non luogo camuffato da eden illusorio, i protagonisti di questo documentario scontano la menzogna peculiare del nostro tempo, incentrata sul mito dell’autodeterminazione a tutti i costi e su di una felicità accessoria, in senso letterale. L’intenzione di documentare è sacrosanta, la realtà ha contorni inquietanti.