Per fortuna, tra tanta noia e scoramento, capita ancora d’imbattersi in commedie argute, intelligenti senza essere pedanti, leggere senza essere frivole.

Cattiva coscienza, opera seconda di Minnella, dal 19 luglio in sala dopo l’anteprima a Taormina, non resusciterà il genere in cui un tempo fummo maestri, ma ha l’ardire e le carte per riformare temi e contenuti, per mischiare generi e immaginari, ritagliandosi con spirito d’importazione e la giusta inventiva un posto al sole nella stantia trafila di esangui, medioborghesi, languorose commediole italiane “sfollasale”.

Film, non a caso, d’atmosfere e ammicchi più hollywoodiani (Allen sì, ma anche l’universo Pixar) che italiani, salda la sua impalcatura psicanalitica (la Coscienza antropomorfizzata, a incarnare l’Io freudiano, e poi anche altro...) nella congiunzione tra il fantastico e la linea sentimentale. Riesce, perciò, a discutere, di sottecchi, eterni dilemmi etici con la gusta dose di leggerezza e levigatezza di tono.

Per farlo, il trio di sceneggiatori Stefano Sardo (già co-autore de La cena perfetta, prima regia cinematografica di Minnella), Giordana Mari e Teresa Gelli ha forgiato Otto, la Coscienza migliore del Mondo Altro, eterea sala di controllo dove lavorano le Coscienze degli umani che abitano sulla Terra (leggi, banalmente, Roma). Otto, in attesa della promozione definitiva, regge e governa Filippo, il futuro sposo della candida Luisa. Razionale, calcolatore, precisino, questo avvocato d’insuccesso, chitarrista frustrato, non ha mai perso le staffe della sua grigia esistenza, senza, per questo, essere minimamente felice.

Durante l’addio al celibato, però, incontra la volubile, beona Valentina, massaggiatrice incompresa dalla famiglia e ferita da più delusioni d’amore. Filippo, rivitalizzato dalla donna, manda all’aria l’incombente matrimonio e, senza saperlo, la promozione definitiva della sua Coscienza.

Per la quale, così, messa spalle al muro, non resta che catapultarsi sulla Terra, il tempo di trasvolare dal Mondo Altro ai bagni chimici del Pigneto dove fervono gli eterni lavori della metro C (ma poi, la fermata lì, non c’è già?) per ricondurre a ragione il suo prediletto, e salvare la sua carriera.

Proprio la metamorfosi del narciso, infallibile Otto è tra i maggiori punti di forza della storia: l’esuberante Scianna, aereo e terrestre, ha i tempi comici giusti, ed è spalleggiato da interpreti affiatati, con personaggi sia sentimentali (Matilde Gioli, Beatrice Grannò) che comici (Alessandro Sfroza) che psicanalitici (Scicchitano). Il cast, insomma, tra protagonisti e comprimari, è ben diretto e diversificato, e trova subito la giusta alchimia in una verve umoristica.

Francesco Scianna e Matilde Gioli in Cattiva coscienza
Francesco Scianna e Matilde Gioli in Cattiva coscienza
Francesco Scianna e Matilde Gioli in Cattiva coscienza

L’impressione, però, è che il tempo giochi contro Minnella, ovvero che le evoluzioni interiori di una storia corale avrebbero richiesto, forse, più tempo, più appropriatezza, più tipizzazione per essere sviscerate e giustificate a pieno, per donare rotondità (completa) alle sue creature, forse troppo consapevoli in partenza dei cambiamenti necessari alle loro vite.

Nonostante la concitazione di scrittura, la commedia, però, rimane in piedi, trascinata dall’emotività e i desideri dei suoi protagonisti. Mostra intenti, temi e ritmo appropriati, uniti a un tono mai serioso, di rado sovreccitato, come da un commento musicale (Braga) che sa sterzare a seconda dei due tempi (e dei due spazi) del film. 

Tra umorismo, sentimentalismo e paradossi comici, Minnella rimette nelle mani dello spettatore l’eterno conflitto tra dovere e piacere, tra ragione e sentimento (ancora Freud), tra la vita e l’Aldilà, tra il coraggio di cambiare e lo spirito di conservazione.

A voler essere pignoli, però, i nei soprattutto di scrittura, non mancano. Detto del passo sovente affrettato e approssimato, sorvolando su alcune forzature – Filippo che, per spaccare i vetri di una gioielleria si ritrova giusto sotto ai piedi delle pietre – e su alcune sottotrame disperse, ci limiteremo ad appuntarne il più immarcescibile: i cosiddetti dialoghi ‘telefonati’. Conversazioni in cui il personaggio anticipa per filo e per segno quello che farà, autentica piaga (di gran parte) del nostro cinema, e contraddizione in termini per un’arte (fono)visiva come il cinema.

Giusto per fare un esempio: non sarebbe stato più avvincente vedere Otto attuare il suo piano (quindi, il senso della storia) piuttosto che farglielo declamare, subito, a parole prima di agire?