Dopo poco più di 10 anni di Marvel Cinematic Universe arriva finalmente il primo film interamente dedicato ad un personaggio femminile.

Captain Marvel colma il ritardo “di genere” (l’unico a dire il vero) con la rivale DC Comics, ma ha il grande pregio di non fermarsi alla semplice etichetta.

Indispensabile viatico per avvicinarsi all’attesissimo Avengers: Endgame (lo capirete con precisione cristallina a metà titoli di coda), il film diretto da Anna Boden e Ryan Fleck (il primo – dopo l’animazione multiverso di Spider-Man – che arriva sugli schermi dopo la morte di Stan Lee, debitamente omaggiato nei titoli di testa e comunque presente ancora una volta con un cammeo) ci porta alle origini di un tutto attraverso la ricerca delle origini della sua protagonista.

Chi è Carol Danvers? O meglio, chi era?

 

Vers (Brie Larson) vive sul pianeta Hala e fa parte dello Starforce, il reparto d’elite intergalattico dei Kree, guidato dall’enigmatico comandante Yon-Rogg (Jude Law). Già in possesso dei propri superpoteri, ma ancora non del tutto in grado di controllarli, viene catturata dagli Skrull, alieni mutaforma in guerra perenne contro i Kree. Esaminandole la mente faranno riaffiorare in lei ricordi apparentemente perduti. Di una vita altra, di una vita spesa tra terra e cielo, al cospetto di una donna misteriosa (Annette Bening) che ha le stesse fattezze utilizzate dall’intelligenza suprema dei Kree per comunicare con lei.

Precipitata sul nostro pianeta, a metà anni ’90 (dentro a un Blockbuster, pace all’anima sua…), Vers dovrà impedire che gli Skrull si impossessino del potentissimo nucleo blu (sì, il Tesseract…) ma è braccata dall’agente S.H.I.E.L.D. Nick Fury (Samuel L. Jackson, miracolosamente ringiovanito grazie alla CGI).

Proviamo a non andare oltre nello svelare altri dettagli della trama (scopriremo anche come Fury perde l’occhio sinistro), ricca di sorprese e plot twist notevoli.

Elementi, questi, che contribuiscono alla riuscita di Captain Marvel, capace con disinvoltura di amalgamare spettacolare visionarietà e intreccio narrativo, procedendo dritto alla meta anche grazie alla doverosa dose di ironia con cui caratterizza situazioni (vedi gatto/flerken) e personaggi (Nick Fury su tutti) che in futuro abbiamo conosciuto in altro modo, senza dimenticare i vari ribaltamenti – e non solo a causa dei mutaforma – che investono altri characters, più o meno secondari.

Quello che più conta, però, come detto, è il percorso individuale della supereroina protagonista: un cammino à rebours per ritrovare le origini di se stessa (e dei poteri che possiede), per provare a porre fine ad una guerra ingiusta e per instillare in Nick Fury (involontariamente, certo) il seme degli Avengers che saranno.

 

Un film che arriva al momento opportuno, imprescindibile per riaprire un discorso prossimo all’endgame ma potenzialmente, ancora una volta, infinito.