Raccontano gli autori di Dix pour cent, la serie francese diventata cult in tutto il mondo con il titolo Call My Agent, che all’inizio le star nazionali non avevano alcuna intenzione di partecipare al progetto. Troppo seriose, poco disposte a giocare con la propria immagine pubblica. Poi la situazione si è sbloccata: se Cécile de France, Françoise Fabian e Nathalie Baye hanno sdoganato l’operazione nella prima stagione, dalla seconda in poi sono apparsi, tra gli altri, Isabelle Adjani, Isabelle Huppert, Jean Dujardin, Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Virginie Efira, Sigourney Weaver, Jean Reno.

Al di là della qualità del prodotto (disponibile su Sky e in streaming su NOW), entrare nel mondo parallelo della serie sembra essere diventato un vezzo, una consacrazione, un modo nobile per avvicinarsi al pubblico (e non agli addetti ai lavori, troppo impegnati a fare le pulci agli autori e a riconoscere le allusioni nascoste) e restituirsi con umanità e divertimento. È un cortocircuito interessante per un interprete, chiamato a interpretare non direttamente se stesso ma una versione alternativa di sé (generalmente iperbolica), con l’obiettivo di svelare i retroscena del mondo dello spettacolo e rinsaldare l’idea di star system nell’industria dell’audiovisivo.

Call My Agent - Italia © Sara Petraglia
Call My Agent - Italia © Sara Petraglia

Call My Agent - Italia © Sara Petraglia

L’adattamento italiano, curato dall’ottima Lisa Nur Sultan e con la regia elegante e fluida di Luca Ribuoli, sceglie il titolo internazionale, sottolineando il rapporto simbiotico, viscerale, perfino cannibale tra agente e star piuttosto che quel “dieci per cento”, cioè la percentuale sui compensi delle star che spetta all’agente, che invece definisce il legame su un freddo piano economico.

La storia resta praticamente la stessa: la CMA (che è anche l’acronimo della serie, già), una delle principali agenzie di talenti in Italia, subisce uno scossone quando il suo fondatore, Claudio Maiorana, decide di mollare tutto e trasferirsi a Bali (nell’originale il titolare moriva). E così i soci (l’autorevole Vittorio, la workalcoholic Lea, l’emotivo Gabriele, l’anziana Elvira) devono pensare non solo ai propri assistiti e a quelli di Claudio, ma anche a come trovare i soldi per rilevare le quote del capo fuggiasco.

Dopo Boris (guarda caso affine), Call My Agent – Italia offre al pubblico italiano la possibilità di ritrovarsi nelle dinamiche di un ambiente di lavoro, ponendosi quale specchio deformato delle sue storture e dei suoi valori (assistenti trattati senza cerimonie, consuetudine al pettegolezzo, solidarietà sfumata nella competizione). È forse il merito principale di una commedia molto piacevole nell’andamento, sontuosa nella realizzazione, efficace nel casting (tutti bravi, dal più famoso Maurizio Lastrico alla veterana Marzia Ubaldi fino alla rising star Sara Lazzaro), che però mette in scena uno showbiz patinato ma circoscritto alla sua bolla, conferisce agli agenti con una rilevanza mediatica discutibile (le interviste sul red carpet e in radio), rappresenta la magia spenta di un mondo incapace di essere all’altezza di quel glorioso passato tappezzato sulle pareti dell’agenzia.

Emanuela Fanelli e Corrado Guzzanti in Call My Agent - Italia © Sara Petraglia
Emanuela Fanelli e Corrado Guzzanti in Call My Agent - Italia © Sara Petraglia

Emanuela Fanelli e Corrado Guzzanti in Call My Agent - Italia (credits: Sara Petraglia)

Le sei star coinvolte (Paola Cortellesi, Paolo Sorrentino, Pierfrancesco Favino, Matilda De Angelis, Stefano Accorsi, Corrado Guzzanti, più camei di Pif, Joe Bastianich, Paolo Genovese) sembrano essere trattate coi guanti, come se il loro avatar fosse il risultato della mediazione con gli stessi agenti, e non è un caso che gli episodi funzionino meglio quando si spinge il pedale dell’iperrealismo (nonostante la naturale propensione realista dei nostri attori).

Curioso che le finte produzioni sembrino autoparodie di Sky (il kolossal etrusco Tuskia con Cortellesi sembra scimmiottare Romulus, Sorrentino gioca con il virale The Lady Pope, il western alla Django con Matilda De Angelis, l’ironia sull’ormai celebre “da un’idea di Stefano Accorsi” della saga 1992), quasi a voler ulteriormente circoscrivere il discorso al rafforzamento dell’universo seriale del network. Per fortuna c’è Corrado Guzzanti, al solito protagonista di un “film nel film”, magnifico ospite dell’ultima puntata in tandem con Emanuela Fanelli, strepitosa attrice mitomane che diventa regista di una “serie irriverente femminile”. Bene ma, come direbbe Guzzanti, nel complesso ci perplime.