Che bellezza vedere un noir in concorso in questa edizione della Berlinale  sottotono. E per di più cinese: non a caso tra i produttori di Black Coal, Thin Ice  c'è Vivian Qu (era alla Settimana della Critica con il suo esordio dietro la macchina da presa, l'ottimo Trap Street), un'intellettuale artisticamente impegnata, che ha seguito il regista Diao Yinan fin dal secondo film Night Train (presentato al festival di Cannes, Un certain regard nel 2007). Anche lì c'era una storia di solitudine femminile, la perdita del marito, la speranza di incontrare qualcun altro. E di nuovo un mistero inconfessabile che faceva da elemento aggregante. La trama di Black Coal, Thin Ice è decisamente più dark:  nel 1999 nel nord della Cina vengono ritrovati cadaveri di donne sconosciute e il tentativo di catturare il presunto colpevole lascia a terra due poliziotti e un terzo  viene gravemente ferito. Il sopravvissuto si chiama Zhang (bravissimo Liao Fan), sospeso dal lavoro e riassegnato come guardia di sicurezza in una fabbrica. Vale a dire: una carriera buttata al vento, la moglie infatti lo lascia e lui incomincia a bere. Nel 2004 saltano fuori altri corpi: stavolta fatti a pezzi e seminascosti nei vagoni di carbone che viaggiano attraverso il paese. La caccia al mostro diventa la missione del dipartimento di polizia, Zhang non ha mai dimenticato e prova a investigare per conto suo, aiutato da un ex collega. Tutti gli omicidi portano a una giovane donna, Wu Zhizhen (Gwei Lun Mei), che lavora in tintoria e ha perso il marito anni prima. Una figura fragile e malinconica che Zhang segue la sera mentre torna a casa, in bicicletta o in metropolitana. Tra i due nasce qualcosa, ma la scia di morte non è ancora finita, come scoprono entrambi. Tradimento, passione, orrore gettano i due amanti in un girone senza fine. Fotografato con i colori cupi del genere, seppur narrativamente sfilacciato,  ha dei momenti di grande splendore: il ballo disperato di Zhang, i fuochi d'artificio impazziti,  la consapevolezza che nulla tornerà come prima.