Sono passati sei anni da quell’Olympus Has Fallen, per noi il primo Attacco al Potere, che contrapponeva la prestanza fisica e morale del Mike Banning di Gerard Butler, a quanto pare, unico ostacolo tra l’ordine americano e il caos del terrorismo. Nel frattempo il mondo è cambiato, ripetutamente e profondamente, mentre la saga dell’Agente Banning no.

Poteva anche essere un vantaggio, in fondo Attacco al Potere si rivolge a una frangia tanto delimitata di appassionati che la sua costanza poteva ripagarlo. Eppure, forse per la pesante inflazione di cinema action, ormai più spesso esplicitamente supereroistico che no, ha fatto sì che già con il secondo capitolo, London Has Fallen, le dinamiche di un esordio tutto sommato efficace (nella sua nicchia) si facessero piuttosto artritiche.

Il terzo capitolo, Angel Has Fallen, al cinema dal 28 agosto, prova a svecchiarle, ma non ci riesce proprio un granché. Senza nemmeno accorgersene, ricade in una rete di cliché cinematografici triti e ritriti, dall’arrivo del padre a chiudere la trilogia (Indiana Jones) ad altre meccaniche tipiche dello spy-action che non anticipiamo per rispetto di spoiler.

Non che il film ci tenga molto a tenere nascosta la propria trama, indovinabile da subitissimo e rivelata apertamente quasi subito. Nick Nolte, comunque, porta una minima ventata d’aria fresca alle scene d’azione, per il (poco) tempo che rimane a schermo, appena più di un Morgan Freeman di rappresentanza.

Resta una manciata di azione, spari e esplosioni che, da sempre, ciò che vuole lo spettatore di Attacco al Potere. Funziona sempre, peccato che non funzioni tutto il resto.