Si chiamano rubacchiotti, ci somigliano, sono microscopici, vivono trafugando le case degli esseri umani. Che, peraltro, temono come la peste. In questo ricambiati. Finché l'incontro tra due bambini dei due mondi non cambierà le cose.

Da uno script di Miyazaki (tratto a sua volta dal libro per l'infanzia di Mary Norton, The Borrowers), un altro gioiellino dello Studio Ghibli diretto dall'esordiente Hiromasa Yonebayashi. Tenero e struggente apologo sulla definizione dell'altro, Arrietty è un viaggio di scoperta visionario (affascina il modo in cui di-mostra la specularità tra due universi che si credono paralleli), leggero e profondamente emozionale, sospeso tra paura e stupore, sospetto e desiderio: in gioco l'ottica dello spettatore, chiamato a vedere quell'altro che è identico a noi anche quando è diverso. Confronto che nell'utopia miyazakiana - evidente il suo tocco - non può che risolversi nell'assimilazione dell'alterità (anche spazialmente: la casa degli esseri umani e quella dei rubacchiotti non sono l'una sopra l'altra, ma l'una dentro l'altra) e nella con-fusione di sguardi.

Utopia congeniale all'animazione che, tra i generi, è quella più votata a reimpostare visioni e visuali del mondo. La morale? Per guardare bene, guardare a fondo, guardarsi, non servono gli occhiali. Basta cambiare prospettiva.