“Non è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere”. Leonardo Di Costanzo ci rinchiude all’interno di un vecchio istituto di pena, situato in una zona remota e imprecisata del territorio italiano.

Fatiscente e in dismissione, questo luogo diventa teatro di un momento di improvvisa sospensione. Poco prima del previsto trasferimento di tutti i detenuti problemi burocratici costringono una dozzina di loro e un manipolo di agenti a rimanere lì, in attesa di nuove destinazioni.

Ospitato Fuori Concorso alla 78. Mostra di Venezia, Ariaferma è un convincente film capace di ragionare sul possibile incontro di due mondi in una situazione di cattività.

Allontanandosi nettamente dai risaputi cliché del prison movie, Di Costanzo – che torna al Lido nove anni dopo L’intervallo (Orizzonti, premio Fipresci) – riesce a restituire con abilità l’atmosfera di un luogo lugubre, morente, popolandolo però di figure che, ognuna a suo modo, tenta di confrontarsi con una realtà inaspettata e scomoda.

Silvio Orlando e Toni Servillo in Ariaferma. Foto Gianni Fiorito
Silvio Orlando e Toni Servillo in Ariaferma. Foto Gianni Fiorito
Silvio Orlando e Toni Servillo in Ariaferma. Foto Gianni Fiorito
Silvio Orlando e Toni Servillo in Ariaferma. Foto Gianni Fiorito

Da una parte le condizioni ancor più deprimenti per i pochi detenuti rimasti (le cucine hanno chiuso e quindi ogni giorno i pasti arrivano dall’esterno, precotti), dall’altra la difficoltà per il manipolo di guardie di tenere a bada la situazione, scongiurando in ogni modo che l’inizio di qualche dissapore non finisca per sfociare in vere e proprie ribellioni.

In questa continua, traballante danza di proteste e dinieghi, di proposte e compromessi, emerge in maniera naturale il conflitto/incontro tra le due figure leader dei due “opposti” schieramenti: l’ispettore Gaetano Gargiulo (Toni Servillo) e il prigioniero Carmine Lagioia (Silvio Orlando).

È una gara di bravura che non prevede vincitore e vinto, quella tra i due attori, chiamati ad una interpretazione trattenuta e rigorosa allo stesso tempo, una sottrazione che però non si limita a rimanere sulla superficie di una schematica freddezza.

In un certo senso, questi due personaggi “che non hanno nulla in comune” (come ricorda fieramente l’ispettore al galeotto), seppure in qualche modo uniti dalle proprie origini, ritrovano nel giovane, nuovo detenuto Fantaccini (Pietro Giuliano) le ragioni di un’umanità – fondata anche sul senso di colpa e le possibili vie di un’espiazione – che magari avevano dimenticato da tempo.

Ecco, Ariaferma vuole intrappolare questo senso di spaesamento che una situazione limite, in un luogo già di per sé borderline, può suscitare, causato da un costante andirivieni di momenti di sospensione, a volte addirittura conviviali (la cena tutti insieme, in seguito ad un blackout), per poi far ritorno bruscamente alla realtà, una volta che il secondino riporta in cella il detenuto.

Un film a suo modo straniante, che ben si guarda (menomale) dal giudicare. Ma che non si limita a raccontare. Alimentandosi piuttosto dei vari racconti che finisce per ospitare.