Nicholas Hoult. Se questo nome non vi dice nulla, non preoccupatevi: è normale. Certo, il gruppetto di ragazzine - venute da Latina, Salerno e Dio solo sa da dove - che hanno sfidato il freddo siberiano della capitale per accogliere calorosamente il loro beniamino da' da pensare. Possibile che la stampa sia sempre un passo indietro rispetto ai trend generazionali? Pensiamoci: non era già accaduto con il bel protagonista di Twilight quando ancora la saga non era milionaria e l'osannato attore non era ancora Robert Pattinson? Anche allora un gruppo di emo ragazzine e imberbi darkettoni aveva mostrato maggiore lungimiranza dei giornalisti di settore.
Il riferimento a Pattinson non è puramente casuale. Gira voce che Nicholas Hoult - per i meno generazionali è il ragazzino inglese che trasformava in una sottospecie di padre il guascone Hugh Grant in About a Boy - sia pronto a prendere il suo posto nel cuore di milioni di fan. La Lucky Red ci spera e fa sapere che porterà Warm Bodies in almeno 400 sale italiane dal prossimo 7 febbraio. Una cifra importante.
D'altra parte il film è stato già da tempo venduto come uno dei possibili eredi di Twilight. Stessi produttori (come riporta a caratteri cubitali la locandina), benedizione di Stephanie Meyer e più di un'analogia. Se là una mortale si innamorava di un non-morto, qui un già-morto s'innamora di una mortale. Inoltre l'operazione nasce sulle fondamenta dell'ennesimo successo editoriale, Warm Bodies di Isaac Marion, nato come racconto online di 7 pagine che è stato poi ampliato, trasformato e pubblicato in forma di romanzo a furor di popolo. Le affinità con Twilight però finiscono qui: "Il film, come il romanzo, è stato concepito per essere unico. Chiuso, finito, senza sequel", taglia corto Hoult. Salvo aggiungere: "Nel cinema però non si sa mai". Certo è che "a differenza di Twilight, il nostro film ha un tono assai diverso - argomenta il giovane attore -. E' ironico, non si prende mai sul serio, senza diventare però una parodia". L'altra differenza con la franchise vampiresca - questo lo aggiungiamo noi - è che stavolta, dietro la macchina da presa, c'è un regista che ha una sua poetica specifica: Jonathan Levine. In fondo Warm Bodies snocciola in forma lieve i motivi semiseri di Fà la cosa sbagliata e 50 e 50, ovvero il tema della seconda occasione e della malattia. Hoult è sì uno zombi diventato zombi in un mondo semi-zombizzato dopo una terribile e non meglio precisata epidemia, ma è altresì uno zombie che, oltre a mangiare cervelli umani, colleziona dischi in vinile (roba seria: Bob Dylan, Joni Mitchell, i Guns), prova ad articolare qualche parola e, cosa più importante, s'innamora. Ed è questo amore per la bellezza acqua e sapone di Teresa Palmer (altra semisconosciuta in un cast che vanta pure i nomi di John Malkovich, Rob Corddry e Analeigh Tipton) a guarirlo e a dargli una nuova chance di vita.
Poi vabbè, la metafora degli zombie - in un anno cinematografico dominato, sembra, da questi esseri: in arrivo Rec 3, World War Z e R.I.P.D. - è talmente feconda da autorizzare le più fantasiose letture, dalla nevrosi virologica alla riflessione sul diverso. Come dire: l'esegesi è libera e il mondo è bello perché vario. Per una volta però ci piace pensare che il film sia semplicemente ciò che dice di essere, e in questo Warm Bodies non potrebbe essere più chiaro: è uno dei rarissimi titoli sugli zombi che sposa il loro punto di vista, li umanizza, ironizza e gli dà persino un nome: se la mortal ragazza è Julie, lui è R., R di Romeo. Julie(tta) e Romeo. Serve altro?