“Sentii alla radio la storia di questa donna che andò alla ricerca di colui che aveva ammazzato suo padre e decisi di farne un film”. Così il regista Antonio Capuano alla conferenza de Il buco in testa, il suo nuovo lungometraggio che è stato presentato oggi fuori concorso al Festival di Torino.

La storia è vera: Antonia (nel film si chiama Maria ed è interpretata da Teresa Saponangelo) nasce nell’autunno del 1977 in una cittadina sulla costa a sud di Napoli. E’ orfana di padre. Suo padre, infatti, un vicebrigadiere della polizia poco più che ventenne, è stato ammazzato, poco prima che lei nascesse, da un militante di estrema sinistra nel corso di una manifestazione politica.

L’omicida del padre ha un nome, un volto e un lavoro. Ora ha scontato la sua pena e vive a Milano. Così un giorno Antonia-Maria si tinge i capelli e prende un treno veloce per andare a incontrarlo perché: “Adesso so chi odiare”.

“Antonia mi raccontò che poi riuscì a superare e a mettere da parte tutto quell’odio che aveva nella sua testa- prosegue Capuano-. L’ultima volta ci siamo sentiti per telefono. Poi ha preso le distanze da me perché stavo in qualche modo rivangando la sua vita. Ma la sua storia è talmente bella che ho avuto troppo voglia di raccontarla”.

Scritto e diretto dallo stesso Capuano, regista napoletano ormai ottantenne che ci ha regalato film come Luna rossa (2001) e La guerra di Mario (2005) fino al recente Achille Tarallo (2018), Il buco in testa vede protagonista assoluta Teresa Saponangelo. “Antonio supervisiona qualsiasi cosa- dice l’attrice-. Sul set ti muovi e danzi con lui. E’ un regista un po’ coreografo come Pina Bausch. Il suo è un ritmo emotivo. Mi ha raccontato come si vestiva, come si muoveva, come parlava Antonia, e così sono riuscita ad entrare nel personaggio di Maria”. C’è qualcosa che ti lega a questo personaggio? “Entrambe abbiamo perso il padre quando eravamo piccole. Il suo è mancato negli scontri violenti, il mio sul lavoro. E’ una persona diffidente perché ha perso una figura importante”.

Il film si apre con una dedica ai fratelli Lumière e a Gianni Minervini. “I Lumière sono i nostri maestri, rappresentano il cinema che nasce con l’arrivo del treno. Minervini invece era il mio produttore preferito, dopo di lui non c’è più stato quel modo di produrre e di fare cinema”, dice Capuano. A tal proposito, che ne pensa del futuro del cinema nel 2020? “La sala di sicuro sopravviverà per chi ama il cinema. Magari ci andranno solo pochissimi affezionati. E poi bisogna sottolineare che anche ai giovani piace andare al cinema”, conclude.