“L'amore, quello con la A maiuscola, è sufficiente a tenere insieme due persone per la vita? Siamo portati a credere che siano i beni materiali, le proprietà da condividere e poi da dividere, a venare le relazioni di segreti, egoismi e meschinità. Ma non potrebbe essere vero anche il contrario? Quei ‘beni materiali’ non sono delle maniglie a cui aggrapparsi di fronte ad una crisi? L'amore e basta invece espone ad un rischio strisciante e insidioso, che oggi s'è fatto ancora più marcato, organico. L'individualismo”. È questo il fulcro di Dobbiamo parlare, nuova fatica da regista di Sergio Rubini, oggi in cartellone alla Festa di Roma, poi dal 19 novembre nelle sale (in circa 120 copie) distribuito da Cinema e, dal 22 novembre, in tournée nei teatri di tutta Italia.

Due coppie in un interno: da una parte i padroni di casa, Vanni e Linda (Rubini e Isabella Ragonese), intellettuali e “sinistroidi”, scrittore affermato lui, sua ghost-writer lei; dall’altra gli amici Costanza e Alfredo, detto il Prof (Maria Pia Calzone e Fabrizio Bentivoglio), borghesi e benestanti, dermatologa lei, importante cardiochirurgo lui. L’(auto)invito a casa di Vanni e Linda scatta nel momento in cui Costanza scopre che il marito ha un’amante: è l’inizio di una lunga serie di recriminazioni che durerà per tutta la notte, facendo emergere rancori inattesi in entrambe le coppie.

“Volevo raccontare le parole, la loro pericolosità”, dice ancora Sergio Rubini, che ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Carla Cavalluzzi e Diego De Silva: “Dobbiamo parlare è l’incipit più temuto nei discorsi di ogni coppia, è quella frase tipica, che appartiene forse di più al mondo femminile, che prelude al momento in cui ci si deve chiarire. Ed è davvero un film al femminile, credo, visto che tutto ciò che anima il racconto è legato a istanze femminili: alla voglia di parlare delle donne e alla capacità di tacere delle donne, mentre gli uomini sono forse un po’ più ignavi da questo punto di vista”.

Il cast del film alla Festa di Roma - Foto Karen Di Paola

Nato come testo teatrale e trasformatosi ben presto in sceneggiatura, Dobbiamo parlare tenta di riflettere sulle conseguenze che si potrebbero avere nel momento in cui “il non detto” esplode con veemenza nell’arco di un’unica serata, attraverso l’incontro/scontro tra due coppie apparentemente agli antipodi: “Il paragone con Carnage, bellissimo film di Polanski, credo sia comunque fuori luogo. Io ho voluto fare una commedia di caratteri, tornando – questo sì – al discorso dell’unità di luogo che caratterizzò anche il mio primo film (La stazione, tutto ambientato in una stanza, ndr), ma non per questo vuole essere un film claustrofobico, anzi”, spiega il regista/attore, che per tentare di non cadere nello stereotipo di soffermarsi sui soliti stereotipi (coppia di sinistra vs. coppia di destra, coppia intellettuale lui più grande lei più giovane…) ha cercato già “sulla carta” di capovolgere alcune situazioni: “In passato io e Bentivoglio avremmo sicuramente interpretato i due personaggi al contrario, io sarei stato il borghese energico e arruffato e lui l’intellettuale più pacato. Abbiamo voluto sperimentare, metterci in gioco, e questo voler cambiare un po’ le carte in tavola certo ti espone a dei rischi ma al tempo stesso ti protegge dallo stereotipo. In fondo poi parliamo di coppie che hanno eliminato alcuni paletti, come quelli relativi all’ideologia destra-sinistra, si riconoscono per i propri meriti, si legittimano a vicenda, fuori dai consueti luoghi comuni”.

E proprio a Fabrizio Bentivoglio si chiede di “uscire” dalle proprie origini meneghine e trasformarsi in un romano verace: “Ma non ci siamo ispirati a nessuno in particolare per il personaggio del Prof, lo abbiamo costruito insieme a Sergio e al pubblico presente quando abbiamo fatto quelle serate di prologo teatrale in cui abbiamo iniziato a provare il copione”, spiega l’attore, che sul film ha un’idea ben precisa: “Gli adulti hanno una componente sulfurea, vampiresca, forse l’unica a non averla è Linda, il personaggio di Isabella Ragonese, che forse proprio per questo riesce alla fine ad affrancarsi”. Perché, come ricorda anche Rubini, Dobbiamo parlare è anche il racconto di uno scontro generazionale: “Ci siamo noi disincantati e una trentenne animata da un realismo forse bacchettone sì, ma che non la paralizza come gli altri tre, sottraendosi da questo mondo che non le piace”.

“Quello di Linda è un personaggio che mi appartiene molto, rappresenta la mia generazione, una generazione di ghost-writer, con un futuro già calcato da altri che però sembra non arrivare mai”, dice Isabella Ragonese.