“C'è un lato autobiografico in questo film come in tutti i miei precedenti. Parto da una realtà che ho vissuto e mi appartiene. La scommessa è trasformare tutto questo in finzione e renderlo cinematografico”. Non poteva essere altrimenti per Mia Hansen-Løve che, con Un amore di gioventù (nei cinema dal 22 giugno) torna sugli schermi regalando un'opera coinvolgente e luminosa, apprezzata in Francia e premiata dalla giuria dell'ultimo Festival di Locarno.
“Tutti i miei film – continua - li ho fatti per colmare un vuoto, si parla sempre di affrontare una perdita o un lutto. Il protagonista maschile se ne va e resta una donna che deve rimettere in sesto una vita da sola. Appartengono ad una trilogia legata alla voglia di voltare pagina e il tempo è l'elemento che cerca di ricucire questa rottura”. La fine del primo amore è ciò che deve superare la protagonista di Un amore di gioventù. Camille (Lola Créton) a 15 anni conosce Sullivan (Sebastian Urzendowsky), il loro amore è intenso, ma lui decide di partire per il Sudamerica e Camille si ritrova sola. Gli anni passano e la ragazza non sembra riuscire a dimenticare, finchè alla facoltà di architettura non si innamora di un professore diventandone poi assistente e compagna. Ma proprio quando la sua vita sembra essere ad una svolta ricompare il primo indimenticato amante.
Una storia d'amore delicata e struggente vissuta attraverso lo sguardo di una moderna eroina, la straordinaria Lola Créton. “Avevo appena finito di scrivere la sceneggiatura – racconta la regista francese - quando con mio marito (Olivier Assayas) abbiamo visto Lola in tv e ci è piaciuta subito, anche lui l'ha scelta per un film. In lei c'è questo mix di fragilità, maturità e forza necessario per questo personaggio, la cui ossessione rasenta la follia e alla fine diventa determinazione”.
Un amore di gioventù descrive un cambiamento, un percorso di crescita che si compie anche attraverso la passione della protagonista per l'architettura, disciplina che la regista ha inserito “come una cornice che mette ordine e da senso alla vita. L'architettura ha molti punti in comune con il cinema: gli architetti si pongono questioni metafisiche, ma poi quando costruiscono devono stare con i piedi per terra. Il mio lavoro mi permette l'astrazione quando scrivo, ma il set mi riporta alla realtà. E' sul set il momento della verità in cui il film prende la forma definitiva”. Se l'uso della metafora architettonica è un espediente narrativo, alcuni momenti della pellicola hanno una forte influenza pittorica: “La pittura è importante per me - spiega la regista – come anche il cinema di Bresson. Paragono spesso il gesto di filmare al gesto pittorico che tenta di cogliere una situazione o una luce per metterla sulla tela”.
Mia Hansen-Løve ha trentun anni, ha esordito a ventisei, ha all'attivo tre lungometraggi e ora pensa già al prossimo: “Ho scritto un film sulla storia della musica House, sono in cerca dei finanziamenti. Si chiama Eden, parla della vita di un Dj, di come è esplosa la musica elettronica in Francia e di che impatto ha avuto sulla società. Sarà diviso in due parti da 145  minuti l'una che copriranno ciascuno dieci anni. Ma sarà un lavoro complicato a causa dei diritti musicali e delle molteplici location”.