“A 17 anni, nel mio paese in Iran, avevo pensato di uccidere il dittatore. Non l’ho fatto, per fortuna, perché poi da più grande ho scelto il cinema e ho capito che poteva essere un’arma più preziosa. Seguire le orme di Gandhi e Bresson poteva produrre risultati molto più profondi. Oggi osserviamo la Siria e sappiamo che lì manca il dialogo e vediamo la terribile fotografia del bambino morto sulla spiaggia. Se la Siria avesse avuto un cinema forte non avrebbe fatto ricorso alle armi. Sono fiducioso tuttavia che una nuova illuminazione farà cambiare la Siria.”

Pensieri e parole di Mohsen Makhmalbaf, regista iraniano a cui è stato assegnato il Premio Bresson 2015, riconoscimento istituito nel 1999, assegnato ogni anno alla Mostra di Venezia dalla Fondazione Ente dello Spettacolo (FEdS) e dalla Rivista del Cinematografo, in accordo con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e il Pontificio Consiglio della Cultura, al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile percorso di ricerca del significato spirituale dell’esistenza.

La cerimonia - condotta da Lorena Bianchetti - si è svolta alla presenza di S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, del Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta e del Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo don Davide Milani.

“Da molto tempo ormai vivo fuori dal mio Paese ma rigetto l’atteggiamento della paura. Ho fatto cinque anni di prigione, sono stato torturato più volte, vittima di attentati con bombe e veleno, ma non mi lascio frenare dalla paura. Mi sforzo di essere coraggioso e fiducioso, perché ogni dittatura usa come arma la paura e l'assenza di speranza. Sono nato in Iran, ma mi sento a tutti gli effetti un cittadino del mondo. Ho fatto film in 10 paesi ed è per me la conferma che il cinema è un linguaggio universale”, dice ancora Makhmalbaf, che aggiunge: “Ricevo con onore questo Premio perché Robert Bresson è stato un profeta del cinema, mai legato a scuole o a correnti ma solo a se stesso e alla propria apertura verso gli altri. E voglio dedicare questo riconoscimento a Oleg Sentsov, regista ucraino condannato ingiustamente a 20 anni di reclusione da una corte russa. Dobbiamo fare di tutto per favorire la sua libertà”. Per quanto riguarda l’imminente futuro, infine, Makhmalbaf svela: “Ho in progetto un film a Parigi ma non posso anticipare niente. E anche la mia prima figlia (Hana Makhmalbaf, ndr) ha un lavoro in cantiere”.

S.E. Mons. Claudio Maria Celli ha sottolineato: "Non c'è lingua, non c'è cultura, non c'è credo religioso che possa diventare ostacolo alla comprensione nel momento in cui ci mettiamo davanti allo schermo. Il cinema si fa per noi strumento di conoscenza, dialogo tra i popoli, specchio della società, riflesso dell'uomo, delle sue ansie, delle sue speranze, della sua anima".

 "In questo frangente storico" – ha dichiarato don Davide Milani, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo – "in cui abbiamo l'illusione di conoscere tutto, spesso dei popoli e delle religioni ci limitiamo a degli stereotipi. Premiando il maestro Makhmalbaf riconosciamo come la sua cinematografia offra un racconto attento a cogliere i processi culturali a partire dalla vita concreta delle persone, in maniera problematica ma sempre feconda. Un dialogo tra religioni e popoli non può che partire da una simile conoscenza".