Meno di un mese fa avevamo scritto che Woody Allen, Steven Spielberg, Sean Penn, i Dardenne, Almodovar, Xavier Dolan e Nicolas Winding Refn sarebbero stati i grandi protagonisti del Festival di Cannes. Ci abbiamo preso e non perché avessimo tirato a indovinare. Sorprenderci non è mai stato il mestiere di Thierry Fremaux, direttore quanto mai abitudinario, fedele con i "suoi" registi: magari può cambiare la sezione ma i nomi che girano sempre quelli sono. In quest'ottica va letta la promozione dell'affezionatissimo filippino Brillante Mendoza (Ma' Rosa) in concorso, lui che lo scorso anno era stato "relegato" in un Certain Regard, e di contro la retrocessione (parola ingrata e fuorviante, ma tant'è) del giapponese Koree-da dalla competizione dello scorso anno all'Un Certain regard di questa edizione (con After the Storm). Qualcuno accetta, qualcun altro no. L'assenza degli aficionados Bellocchio e Bonello forse si spiega così. Vai a saperlo. Mentre quella di Larrain (Neruda) e Villeneuve (Story of Your Life), per dirne due di quelli che avevamo preventivato, potrebbe essere una sfortunata questione di tempi: non erano pronti (li ritroveremo a Venezia?).

Detto questo, il classico gran mix à la Fremaux c'è tutto, scontato come il sole ad agosto e ugualmente auspicato. Così per la Palma scende in campo la solida corazzata degli Autori, formata con proverbiale perizia da Manuale Cencelli dei festival: ai vecchi e immancabili maestri Almodovar, Dardenne, Loach e Assayas rispondono i nuovi, gli enfant prodige e terrible Xavier Dolan e Nicolas Winding Refn. Tra i fedelissimi c'è anche Sean Penn, che torna in concorso 15 anni dopo La promessa con The Last Face, da lui interpretato insieme all'ormai ex fidanzata Charlize Theron, a garanzia di un red carpet da urlo. Confermando la linea degli ultimi anni Fremaux punta molto sui film americani: tre titoli sono in competizione anche se Jim Jarmusch (Paterson), altro habituè della kermesse, è il più europeo tra gli yankee, Jeff Nichols (Loving) un indipendente di talento. Di americano invece c'è solo il titolo, American Honey, nel film di Andrea Arnold, l'altra inglese in corsa per la Palma insieme a Ken Loach. La voce grossa la fanno i cugini d'Oltralpe ma non è una novità: dei 20 titoli in competizione, 10 sono produzioni o co-produzioni francesi.

Ma Thierry Fremaux, forse memore di alcune clamorose "sviste" dello scorso anno, quando si fece scippare ad esempio Desplechin dalla Quinzaine, si è concesso quest'anno qualche scelta coraggiosa. Rilancia in gara la radicalità di Bruno Dumont (Ma Loute). Oltre al solito Assayas, punta su un nome nuovo del cinema francese, Alain Guiraudie (Rester Vertical), di fatto promuovendolo dopo avergli fatto fare tre anni fa Un Certain Regard con lo sconvolgente Lo sconosciuto del lago. Anche l'attrice e regista Nicole Garcia, in gara con Mal de pierres, non rientra nel novero delle fedelissime di Fremaux, anche se lei in concorso c'era già stata con L'avversario (2002). Il fatto poi che abbia messo due film rumeni in competizione, Sieranevada di Cristian Puiu e Bacalaureat di Cristian Mungiu, ci rincuora sul fatto che la selezione abbia tenuto conto soprattutto del valore delle opere. Lo confermerebbe la prima volta in gara della giovane tedesca Marin Ade (Toni Erdmann) e di Kleber Mendonça Filho (Aquarius), veterano del cinema brasiliano praticamente sconosciuto da noi. Con più coraggio avrebbe potuto riservare lo slot del concorso ad almeno una delle sette opere prime in cartellone quest'anno. Ha preferito invece destinarle tutte a Un Certain Regard, sezione che si preannuncia interessante vetrina di nuovi talenti.