Se lo scoppio dello scandalo Weinstein nell’ottobre del 2017 ha di fatto acceso la miccia del movimento #MeToo, provocando uno sciame sismico che da Hollywood si è propagato oltreoceano, quello del 2016 legato alle vicende del connazionale Roger Ailes, fondatore di Fox News e ideatore dell'alt-right, ossia la “destra alternativa” americana, si è abbattuto in maniera altrettanto devastante su uno dei colossi dell’informazione radiotelevisiva a stelle e strisce.

Il tutto in un biennio nel quale le verità emerse hanno scoperchiato quel vaso di Pandora rimasto a lungo sigillato da una cappa di omertà che aveva soffocato ogni velleità di reazione delle vittime delle molestie e delle violenze sessuali. Reazione, questa, che ha tardato ad arrivare, ma che una volta innescata ha visto il pluridecorato produttore dopo e il potentissimo chief executive prima cadere sotto i colpi delle rispettive accusatrici.

Ma se per Weinstein si è passati solo da qualche settimana alle fasi processuali che hanno portato alla sentenza di condanna per alcuni reati a lui ascritti, in quello di Ailes la partita legale si è chiusa con il decesso avvenuto nel maggio del 2017 a causa di un ematoma subdurale, aggravato dall’emofilia che lo aveva colpito sin dalla tenera età.

Proprio la scomparsa dell’ex numero 1 dell’emittente di Murdoch, nata con come antidoto alle ‘liberal’ Cnn e Msnbc, ha rappresentato il passepartout che ha permesso al mondo dell’audiovisivo di occuparsi della sua controversa figura, setacciandola nei minimi dettagli sino a raschiarne quel fondo che ne decreterà la fine.

Ma ancora prima che la televisione e il cinema mettessero in cantiere dei progetti destinati al piccolo e al grande schermo, a sferrare un deciso fendente alla credibilità e all’operato del top manager ci hanno pensato le pagine al vetriolo di The Loudest Voice in the Room di Gabriel Sherman, le stesse che hanno alimentato gli script dei sette episodi dell’omonima miniserie targata Showtime.

The Loudest Voice

Il tomo, frutto di un'accurata ricerca, aveva già inflitto nel 2014 un duro colpo al protagonista, portando alla luce delle sconvolgenti rivelazioni sulle sue “cattive” abitudini, tracciandone un identikit per quasi tutti i versi disgustoso: prepotente, manipolatore, ambizioso, vanaglorioso e pervertito.

Un profilo che verrà ripreso senza sconti tanto nel documentario Divide and Conquer in cui Alexis Bloom esplora l'ascesa e la caduta del defunto Ailes, dalla sua influenza mediatica sulla presidenza Nixon alla controversa leadership del canale, quanto nella serie tv dove il racconto è stato circoscritto agli ultimi vent’anni di vita. In entrambi casi si assiste a una messa a fuoco della discussa personalità di un predatore sessuale, ossessionato dalla mania del controllo e dal potere che egli stesso si è costruito ai danni dei suoi sottoposti.

Diversa, invece, la prospettiva attraverso cui Randolph e Roach hanno ricostruito gli eventi in Bombshell (previsto dapprima in sala dal 26 marzo, da domani 17 aprile invece in streaming su Amazon Prime), laddove il testimone passa nelle mani delle donne vittime dei ricatti sessuali e delle avances del carnefice Ailes (John Lithgow), qui pedina centrale, certo, ma relegato a sfondo sinistro.

https://www.cinematografo.it/recensioni/bombshell-la-voce-dello-scandalo/

Trattasi di un rovesciamento del punto di vista rispetto alla serie tv interpretata da un Russell Crowe in stato di grazia, che pur occupandosi del medesimo soggetto sceglie di narrare i fatti da un’angolazione diversa.

Ciò determina anche una mutazione nel DNA drammaturgico, che vede il biopic lasciare spazio a una dramma corale d’inchiesta che ha come baricentro il personale femminile della Fox News, nello specifico tre delle principali accusatrici del creatore del network, le giornaliste Kayla Pospisil (Margot Robbie), Megyn Kelly (Charlize Theron) e Gretchen Carlson (Nicole Kidman).

Insomma cambiano gli addendi ma non il risultato, perché il male resta tale anche se può manifestarsi con volti differenti.