“Chi decide chi viene giudicato? Mi chiedevo se fosse giusto che gli esseri umani debbano essere giudicati da altri esseri umani: pongo la domanda, ma non so dare una risposta”. Il giapponese Hirokazu Kore’eda, habitué del Festival di Cannes, torna alla Mostra di Venezia (in Concorso) 22 anni dopo l’opera prima Maborosi No Hikari. E lo fa con The Third Murder, legal drama che finisce per rivelarsi riflessione sull’impossibilità di stabilire la verità e sulla vacuità della giustizia.

“La verità è una, ma spesso gli esseri umani non possono stabilirla in modo certo”, spiega il regista, che sul film aggiunge: “Se si trattasse di una storia normale, all’inizio ci troveremmo di fronte ad un mistero e alla fine assisteremmo allo svelamento dello stesso. Qui avviene il contrario: inizialmente c’è un caso molto semplice, intellegibile, mano a mano però non si capisce più come sono andate realmente le cose. Ho cercato di riproporre quella sensazione di ambiguità che gli stessi avvocati percepiscono dopo che il verdetto è stato comunicato. E spero che anche gli spettatori rimangano con questo senso di incertezza”.

The Third Murder è incentrato sul caso del signor Misumi (Kôji Yakusho), che dopo aver scontato 30 anni di galera per un omicidio commesso in gioventù, è ora reo confesso di un altro delitto. Rischia la pena di morte, ma quando l’avvocato Shigemori (Masaharu Fukuyama, celeberrima pop star in Giappone e già attore per Kore’eda in Father and Son) assume la sua difesa, inizia a comprendere che quella verità apparentemente così limpida e assoluta potrebbe nascondere sfumature talmente ampie da poter ribaltare un verdetto che sembra scontato.

“Spesso i miei film vengono definiti lenti per quello che riguarda il tempismo. Qui siamo al cospetto di due persone intramezzate da un vetro: i loro movimenti sono nulli, dal punto di vista fisico, quello che si muove è il loro cuore, la loro mente”, dice ancora Kore’eda, che per l’accompagnamento musicale del film ha scelto l’italiano Ludovico Einaudi: “Ero su un aereo e ho sentito un suo brano. Ho iniziato a percepire il suono del sole, dell’acqua, tutti elementi naturali che mi sono venuti in mente. Ho acquistato l’album e mentre scrivevo il copione del film, ascoltando la sua musica, ho percepito come se ci fosse un un intreccio speciale”, racconta ancora il regista.

“Ero a Tokyo per un concerto e sono andato a trovare il regista e tutta la troupe sul set del film. Kore’eda mi ha fatto sedere in una stanza del montaggio, mi ha fatto vedere delle preview del film per entrare dentro questa storia, queste immagini. Avevo già letto la sceneggiatura e avevo accettato subito perché mi intrigava molto e perché conoscevo i suoi lavori precedenti. E qui ho sentito molto forti delle convergenze con Rashomon di Kurosawa, film dove la storia è vista da diverse angolazioni e non si capisce mai qual è la verità. E la musica ho cercato di crearla così, come il film, provando ad evitare che si svelasse fino in fondo”.