Giorgio Tacchia, ceo di Chili, che cos’è la neonata It’s Art?

Una società, composta da Chili per il 49% e da Cassa depositi e prestiti (Cdp) per il 51%. Una piattaforma con l’obiettivo di distribuire arte e cultura italiana nel mondo.

Perché Chili?

Perché è un partner tecnologico con una piattaforma scritta da sé e le competenze tecnologiche richieste: c’è stata una selezione, abbiamo vinto noi.

E i contenuti?

Non sono di nostra competenza, noi diamo supporto tecnologico a Mibact e Cdp: sarà loro compito trovare personale competente in merito. Non abbiamo mandato sullo sviluppo del contenuto, dobbiamo solo vendere: musei, teatri. Del resto, ad hoc sono stati messi in campo fondi importanti, dai 420 milioni di euro del dl Rilancio ai 450 del Fus, perché tutto il mondo ha capito che la digitalizzazione è la via maestra: per dire, anche Broadway s’è data una OTT per veicolare i propri spettacoli in streaming.

Giorgio Tacchia, ceo di Chili

Obiezione:  per la ribattezzata, dal ministro Franceschini, “Netflix italiana” sono stati investiti circa 20 milioni di euro, ovvero la cifra che Netflix spende per due episodi di The Crown.

Il paragone non regge, ripeto, noi dobbiamo solo veicolare, esiste un mondo che il contenuto già lo produce: dal palcoscenico ai musei, dall’opera a Muti, Bocelli, Baglioni, Pompei… Ci sono dieci miliardi di televisori connessi a Internet nel mondo, un’opportunità enorme: visione digitale e distribuzione globale, questo offriamo ai nostri artisti.

Nello specifico, Chili cosa offre?

Distribuzione, promozione, marketing e tecnologia all’avanguardia. Il contenuto già c’è, oggi va un po’ su YouTube, un po’ sui rispettivi siti, un po’ da nessuna parte: ebbene, non sarà più così.

Altra obiezione: perché Chili e non il Servizio Pubblico, ovvero RaiPlay?

Abbiamo partecipato a una gara e abbiamo vinto: perché altri abbiano perso, non posso e non voglio dirlo. Certo, avere una piattaforma scritta da noi, che sappiamo manutenere in proprio, ha giovato. Poi, non è solo streaming, ma marketplace: capite bene quanto possa essere utile a una mostra, un evento, un museo.

It’s Art sarà Svod o Tvod?

Transazionale. E prevediamo anche l’Avod, come già per Chili, soprattutto per veicolare l’archivio.

Obiettivo?

Fare soldi: più ne facciamo, più ne verranno girati a chi produce contenuti.

Tacchia dica la verità, quanto le ha dato fastidio l’etichetta “Netflix della cultura”?

No, nessun fastidio, anzi: per ogni abbonato a Netflix e Disney +, a Chili ne arriva mezzo. È la nostra strategia: prossimità e complementarità. Quella di Franceschini è stata la semplificazione di un concetto, quello di un servizio con un contenuto di un certo tipo e a pagamento. Personalmente, credo che più che Netflix It’s Art sia la Disney della cultura e dell’arte.

Dalla biblioteca dell’inedito al sito VeryBello.it i precedenti poco lusinghieri non mancano.

Che c’entra? Questa è una piattaforma, un progetto destinato al mondo: il Covid ha mostrato quanto grande sia la domanda. Ovvio, possiamo impegnarci per distruggerla, ma a che pro?

La Prima della Scala o, che ne so, il Premio Strega: li vedremo su It’s Art?

Non è compito mio, ma dell’azionista, del responsabile contenuti: per quanto mi riguarda, vorrei entrambi. Il piano editoriale è in sviluppo, e una cosa la posso dire: stanno chiamando tutti.

Da RaiPlay in giù, entro i confini nazionali non mancherà la concorrenza.

Abbiamo una base, i cinque milioni di clienti di Chili, su cui faremo molta promozione. E, confidiamo, la qualità e la diversità dell’offerta.

Quando parte It’s Art?

Fine febbraio.