Da Sole quieto - era il 1984 e vinse il Leone d'Oro a Venezia - a Il sole nero sono trascorsi ventidue anni e Krzysztof Zanussi non rinuncia a raccontare l'eterna lotta tra il bene e il male. Che avviene, appunto, sotto un unico sole. Perché questi due soli, nel suo cinema? "E' una metafora. Il sole è sempre un punto di riferimento per la vita, in tutte le culture: per gli Inca, per i cinesi, gli indiani ed anche per noi europei. Il sole simboleggia la sorgente della vita, ma può anche bruciare, distruggere, portare la morte. Per natura è luminoso, nel mio film invece ci sono ostacoli che lo nascondono, non gli permettono di brillare" dice da Taormina, dove è ospite del festival. Ne Il sole nero si affrontano i drammi della vita che si oppone ad una cultura della morte, temi già affrontati  in La vita come malattia mortale sessualmente trasmessa e nel suo seguito Supplemento. Questa volta il contesto non è polacco, ma siciliano. Agata, la protagonista interpretata da Valeria Golino, vuole vendetta cercando di uccidere il balordo che le ha assassinato il marito, Manfredi. Un dramma epico che, afferma il regista, vuole stare più sulla linea de Le notti bianche che de La terra trema. "La Sicilia è un contesto perfetto per ritornare alle dimensioni elementari dell'uomo. La cultura attuale cerca di negare la distinzione tra bene e male, cerca di relativizzarla e di banalizzare gli elementi chiave della nostra vita, come l'amore, come la morte".

Come è venuto a contatto con questa storia?
Ho lavorato già due volte in teatro con Rocco Familiari, commediografo mio coetaneo, una volta con Raf Vallone per Il presidente e la seconda per Salomè ed Erodiade. Mi sembra un autore molto valido e interessante e quando ho letto Il sole nero ho sentito che ne poteva uscire un film insolito, non realistico, ma classico. Nel film non si parla una lingua quotidiana, ma letteraria, dove c'è un coro come nella tragedia greca - sono i vecchi del paese che commentano ciò che accade -, dove c'è una dimensione dell'amore che mi ha molto colpito. Nel mio film, invece, è forte la dimensione dell'insostituibilità dell'amore: un marito non può essere sostituito da nessuno, e questo è davvero controcorrente. Viviamo in un mondo che è fatto di piccoli amori sostituibili e questa è una grossa perdita creata da una cultura di massa che cerca di presentare la vita come molto facile, senza grandi problemi e senza grandi passioni.

Per descrivere questo nuovo film lei usa due termini: classicità e thriller. Come metterli insieme?
Lo hanno fatto i greci, prima di me. Oedipus rex non è un thriller? C'è un elemento, nella curiosità innata dell'essere umano, che può aiutare il dialogo con il pubblico di oggi. Tanti urlano, ma cosa è davvero attraente per il pubblico? Il mistero, il thriller, un tipo di racconto e uno stile che io, senza accentuarlo, uso nel mio cinema.

Com'è stato lavorare in Sicilia, per un regista che arriva dalla Polonia?
Sono soprattutto contento che il mio film non contenga nessun riferimento alla mafia. Mi sono sentito libero da questi stereotipi siciliani. L'accoglienza è stata aperta, calda, Siracusa ci ha fornito un grande appoggio. Abbiamo poi girato a Catania ed il resto è stato ricostruito a Cinecittà.

Valeria Golino: incontro fortuito o programmato?
La conoscevo bene come attrice. Sebbene io sia sempre molto fedele ai miei attori, ho chiesto di lavorare con lei e sono molto contento di averla conosciuta. E' stato un periodo di buon lavoro, forse non abbastanza intenso come avrei voluto, perché solo in teatro oggi si può lavorare con piena intensità insieme agli attori.

Ora pensa di ritornare alla sua Polonia?
Ora vorrei davvero fare tutte le cose che ancora non sono riuscito a fare nel cinema, perché sono vecchio, il tempo scorre e mi annoio. Un progetto serio - e lo dico subito, molto impegnativo e molto distante dal Zanussi che conoscete - è quello che affronterò presto: una commedia musicale che ho concepito e scritta, con molta musica, classica e leggera, in cui l'ambiente sarà divertente e la storia edificante. E' la storia di un controtenore - nel film sarà il polacco Jacek Laszczkowski, un cantante straordinario - che è un uomo assolutamente regolare, con una figlia che si ribella quando sente il papà cantare con la voce della madre. Allora deve promettere alla figlia di non farlo più, ma per motivi artistici e ancor più economici, è costretto ad esibirsi nei teatri. Una storia ambientata ai nostri tempi, tra la Polonia e la Germania. Dopo di questa, tornerò alla Polonia, per una biografia cinematografica della regina Edvige, oggi santa: una donna formidabile, che si ritrovò sposata all'età di quattro anni con un giovane nobile degli Asburgo.