I tempi sono cambiati. Due anni dopo la lode all'invincibile Mandela (Invictus, 2009), prestanome di Obama e allegoria della nuova speranza democratica, Eastwood torna indietro. Dietro le quinte del paese, nella scena ambigua di una storia rovesciata, top secret. Dici J. Edgar (da oggi nelle sale italiane) e non puoi non pensare a faccendieri e spie deviate, mafia e poteri occulti, intrighi e omissioni. L'American Tabloid della grande cospirazione. Tornata alla ribalta. A Hollywood, e non solo. Codice da Vinci docet.
La teoria del complotto nel cinema americano ha radici lontane. Spopolava negli anni '60-'70 (nella paranoia del cinema fantapolitico, nelle innumerevoli risacche dell'immaginario post-kennedyano, nel Watergate di Tutti gli uomini del presidente), tornava in auge dopo l'11 settembre, è in nuce nella recente produzione hollywoodiana. Un'ossessione che rompe il diaframma tra immaginazione e realtà infettando pratiche in apparenza lontane, dal poliziesco (Fuori controllo) alla denuncia (The Conspirator), dal western (L'assassinio di Jesse James) alla fantascienza (I guardiani del destino), dal thriller (Shutter Island) al film generazionale (The Social Network) fino al documentario (quello di Michael Moore).
Oltre la verità ufficiale si aggira tormentato lo spettro della congiura. Che riprende linfa, come detto, dal ripiegamento della fiducia in Obama, primo salutato come messia del rinnovamento, poi ridotto a logo delle lobby (Naomi Klein), infine bollato come indeciso. Una leadership debole, incapace d'incidere come dovrebbe perché “manipolata” dai poteri forti. Sulla scena torna “il personaggio spaesato, spiazzato rispetto a quel che gli capita, la vittima di maneggi poco chiari, di un capitale suadente e spietato, l'omino in balia di eccessi cui non sa dare un nome, di crisi che non sa a che cosa ascrivere (…), schiacciato da forze impreviste e spesso addirittura segrete (…), logica conseguenza di uno status miserevole della nazione il cui meccanismo si è inceppato davanti alla prova storica che i conti politici non tornavano più come in passato”. Così chiosava Franco la Polla (Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood) a proposito del cinema dei Settanta, ma l'osservazione è valida anche oggi.
E' il quadro psicologico tratteggiato da Clooney ne Le idi di marzo, dove il portavoce di un candidato alle presidenziali (Ryan Gosling) diventa testimone dei sinistri meccanismi del potere e delle sue bugie. Sempre Clooney, evidentemente sensibile al tema della verità, esordiva dieci anni fa dietro la macchina da presa con la storia vera di un finto producer televisivo che era di fatto un sicario della CIA (Confessioni di una mente pericolosa). E' in questo impasto pericoloso di finzione e realtà che va rintracciata l'origine della paranoia americana. Don DeLillo nota come gli yankee abbiano l'abitudine a guardare non alle cose in sé, ma alle loro possibili relazioni: “La realtà è l'esito di morfologie complicate come labirinti, di strutture, rapporti, e legami strani, strani, strani” (Players).
Non sorprende che l'esito più sconvolgente del ritorno al complotto sia la mania per l'ucronia dei blockbuster di ultima generazione: X-Men, Transformers 3 e Captain America risolvono pulsioni antiche in forma nuova. La plasmabilità degli eventi non esclude neppure l'intervento alieno e transgenico. La storia non è mai stata così reversibile, rivedibile. Un affare da boiardi senza nome. Non è più solo L.A., ma Hollywood Confidential.