Gianni Amelio entra nell’auditorium Casa dell’economia di Lecco. Guarda gli spettatori con le mascherine che lo applaudono: “Sembra un film di fantascienza. Ma sono anche contento perché vedo tanta gente”. Poi il regista racconta da dove nasce il film Il primo uomo, proiettato alla fine del dialogo intrecciato con Gianluca Pisacane, critico della Rivista del Cinematografo.

“È un film serio, come serio è il libro a cui mi sono ispirato, Il primo uomo di Albert Camus. Questa è la sua autobiografia che lui non ha potuto finire perché è morto quarantenne in un incidente d’auto. Il manoscritto è stato ritrovato nell’auto in fiamme insieme al suo corpo. Nel film vediamo gli albori della grande ferita tra Francia e Algeria, quella che le ha rese nemiche per sempre”.

Poi racconta il significato del titolo: “Il primo uomo non è Adamo o qualcuno nato all’alba dei tempi, il primo uomo siamo tutti noi. Non c’è differenza di genere, c’è il rispetto per l’essere umano. Ciascuno di noi è il primo uomo sulla Terra e deve faticare per stare bene, fare stare bene gli altri, non disprezzare gli altri”.

Gianni Amelio (Foto di Karen Di Paola)

Pisacane porta poi il dialogo sul tema del festival, le donne: “Il primo uomo è un titolo al maschile che contiene però due figure femminili molto importanti, la madre e la nonna. Come ha costruito questi due personaggi?”. “Ho avuto un’alleata, la figlia di Camus che mi ha detto: dimentichi di parlare di Camus e parli di lei. Camus era un bambino povero cresciuto da una madre e da una nonna. Stranamente e curiosamente io sono stato un bambino povero senza padre e con una madre e una nonna. A Catherine Camus questa è parsa una coincidenza miracolosa e mi ha lasciato interpretare liberamente”.

In conclusione, una riflessione sulle donne nel cinema: “Alle donne è sempre stata richiesta la bellezza. Agli uomini, la comunicatività. Ho lavorato con Lina Wertmuller e Liliana Cavani. Solo con loro perché erano le uniche registe. Adesso ce ne sono molte. Adesso c’è un’ambizione diversa. Per fortuna. Nel lavoro non dobbiamo considerarci né maschi né femmine, dobbiamo considerarci bravi per quello che sappiamo fare”.