“5 anni fa dovevamo mettere in scena Uno Zio Vanja” esordisce Vinicio Marchioni, protagonista di Il terremoto di Vanja, documentario in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. “Leggendo di questa piantagione in cui il grano non cresce con intere generazioni senza futuro, pensavo all’odierna crisi italiana e planetaria. Quindi abbiamo riadattato l’originale con, invece della piantagione, un teatro di provincia colpito da un terremoto come quelli de L’Aquila e Amatrice”. E prosegue: “Lo scopo? Riportare l’attenzione su persone colpite da questi eventi da un punto di vista umano, conservando lo stesso sguardo di Anton Cechov, con istinto di amore e grande compassione”.

“Vinicio è la persona che conosco che sente di più la propria responsabilità di attore”. Parola del produttore Simone Isola. “Si è chiesto il senso di un’attività come la sua in contesti di grave difficoltà, forse una domanda che dovremmo farci tutti, dando peraltro una risposta complessa e profonda”.

Gli fa eco Maurizio Vassallo, altro producer: “L’enfasi e l’impatto emotivi di uno spettacolo teatrale erano cose da raccontare assolutamente. La libertà di linguaggio e d’espressione, per noi, ha fatto la differenza, riflettendosi in scelte artistiche slegate da dettami produttivi”.

Ma i produttori non sono finiti. C’è anche Aliona Shumakova, che ha accompagnato Vinicio Marchioni e il tuttofare Pepsy Romanoff (soggetto, sceneggiatura, direttore della fotografia) nelle riprese in Russia, ripercorrendo le tappe della vita di Anton Cechov: “Mi sono resa conto subito dell’operazione incredibile in corso: si travalica il teatro verso il cinema, persino tradendo Cechov ma restituendolo nei più piccoli dettagli. Le case-museo diventano un racconto vivo e ibrido, oltre il documentario”. E conclude: “Un’operazione che la Russia ha accolto con grande gratitudine, perché ampiamente ripagata”.

“La mia conoscenza del teatro rasenta lo zero” ammette il succitato Pepsy Romanoff. “Ma questo è stato un ingrediente per mettere in moto dinamiche quali l’indagine della telecamera in posti dove di solito non entra. Influenzato da Vinicio, Cechov è diventata anche la mia ossessione. Lui diceva: ‘Fare, bisogna fare’. E noi abbiamo fatto”.

“Questo è un film sulla resistenza” replica Milena Mancini, soggettista, sceneggiatrice, attrice e produttrice. “La resistenza dei sogni e delle speranze. Ho supportato in tutto questo progetto di Vinicio, anche lasciandolo solo. Con il grande cast siamo una famiglia, come le famiglie di Cechov, ma Cechov era anche un solitario”.

In chiusura, ancora l’attore protagonista e regista: “Cechov, più di cent’anni fa, scrive come un ambientalista ante litteram che la natura è fondamentale per l’uomo, un viaggio nel tempo degno di essere vissuto non solo da me, ma da tutti. Cosa stiamo facendo, oggi, in tal senso?”.