“Jack è uno psicopatico, una persona alla quale manca completamente l’empatia. Non è solo un serial killer, ma anche un artista fallito”.

Parola di Matt Dillon che interpreta l’astuto serial killer ne La casa di Jack, film di Lars von Trier nelle sale il 28 febbraio distribuito in 120 copie da Videa. Un viaggio all’interno della coscienza di un uomo disturbato, un ingegnere che vorrebbe essere un architetto, che nel corso della sua vita ha ucciso più di sessanta esseri umani, tra cui diverse donne, interpretate da Uma Thurman, Sioban Fallon Hogan, Sofie Grabol e Riley Keough.

Difficile mettersi nei panni di un personaggio così mostruoso ed orrendo. “Ho avuto diversi dubbi prima di interpretarlo, soprattutto per l’argomento trattato - dice l’attore -. Ma rispetto al regista non avevo alcuna perplessità, anzi ho accettato questo ruolo proprio perché sapevo che lavorare con lui sarebbe stata una bellissima esperienza. Lars è un uomo che si assume la responsabilità dei suoi film e poi non ho mai letto una sceneggiatura così interessante. Quando lavori con un regista di cui ti fidi sei disposto a rischiare, ti viene naturale”.

Certo, la paura non è mai mancata: “Ero spaventato perché sentivo che spesso mentre recitavo giudicavo e non riuscivo a mantenere le distanze dal mio personaggio. In particolare durante alcune scene disgustose come quella della caccia con la famiglia e i bambini o in quelle dove viene supplicato dalle donne. Ho cercato di eliminare qualsiasi sentimento, perché Jack è una persona nata priva di coscienza e di empatia. Per questo ho chiuso a chiave e spento quelle parti di me e ho cercato di aggiungere sottraendo. Non abbiamo mai fatto prove. Alla fine, quando ho rivisto il film, sono stato felice perché ho notato che non rifiutavo il mio personaggio”.

Nella pellicola il terribile serial killer, pur essendo un ossessivo compulsivo (attento a togliere qualsiasi macchia di sangue alla perfezione), lascerà sempre qualche traccia dei suoi efferati omicidi. In parte perché, secondo la sua stessa teoria, il miglior modo per nascondersi è non farlo, ma anche perché: “Jack è un misantropo e vuole disperatamente essere preso e beccato. Per questo si confessa con il poliziotto, ma lui non gli crede. A quel punto cade in preda alla disperazione”.

C’è da credere allora all’affermazione di Jack per cui in questo mondo nessuno ti aiuta? “Non sono convinto che sia così, ma di sicuro in questa battuta c’è qualcosa di vero. Basta guardare quello che succede nel mondo ai giorni d’oggi: tutte le ingiustizie, a cominciare dalla Siria dove vengono sganciate le bombe sui bambini”.

“E’ un aspetto della natura umana”, prosegue Matt Dillon che per riuscire ad entrare nella mente di Jack ha studiato diversi volumi e libri sulla psicopatia e sui serial killer e si è reso conto che: “Non si tratta di un fenomeno spot o di una tantum. Chiesi anche a Lars il motivo per cui voleva tanto portare sullo schermo un personaggio di questo tipo e mi disse che era perché lo sentiva vicino a lui, come per esempio nel disturbo ossessivo-compulsivo. A parte per quel che riguarda gli omicidi ovviamente!”. Tanti i filmmakers con i quali Matt Dillon ha lavorato: “I migliori sono quelli che si concentrano sui personaggi e che capiscono che un film è un processo continuamente in fieri che si svolge quando lo scrivi, quando lo dirigi e quando lo monti”.

Tante anche le versioni realizzate di La casa di Jack. In alcune di queste sono state tolte le scene più cruente: “Non sono un fan della censura sotto qualsiasi forma, anche se qui ci sono scene molto dure. Se accendi la televisione talvolta vedi immagini estremamente più violente e brutali di quelle raccontate in questo film”, commenta l’attore.

In Italia non c’è ancora il visto censura. Negli Stati Uniti (paese dove, tra l’altro, si svolge il film: “Tipico di Lars, regista danese, è continuare a fare film sull’America quando non c’è mai stato!”) invece il film è già uscito: “Molti lo hanno ammirato, soprattutto i fan di Lars - dice Dillon-. Altri hanno al contrario avuto paura di vederlo. Comunque c’è anche molto umorismo dark. Dopo la visione questo film deve essere masticato e digerito perché ha bisogno di un momento di sedimentazione prima di essere giudicato”.

Nel film anche l’ultima interpretazione del grande attore Bruno Ganz, qui nel ruolo di Verge, un misterioso Virgilio, che esplora il flusso di coscienza di Jack attraverso un dialogo ricorrente: “Il film è strutturato sul dialogo tra Virgilio e Jack. Il finale ha una grande morale: Virgilio lo conduce fino in fondo e gli dice che in teoria lo avrebbe dovuto lasciare due gironi più su, ma che lo ha portato fin lì perché ci sono persone peggiori di lui. Ho trovato questo finale pieno di metafore e di domande relative all’arte e alla moralità davvero interessanti”.

E poi conclude con un pensiero per Ganz: “Sono davvero triste per la sua dipartita e sono stato davvero fortunato di aver lavorato al suo fianco. Ero un suo grande fan da quando lo vidi recitare tanti anni fa in un film in cui interpretava un giocatore di scacchi. Infatti fui felicissimo quando Lars mi comunicò che Verge sarebbe stato interpretato da Ganz. Abbiamo girato in Danimarca questa lunga conversazione fuori camera. Non abbiamo mai visto il film insieme, ma lui mi disse che lo aveva trovato estremamente interessante e che io sarei stato orgoglioso della mia performance”.