Un momento emozionante, di allegria, ma soprattutto di normalità. Sì, a Gaza un evento come un Festival del cinema "specchio" di quello di Cannes, chiamato Human Rights Film Festival, è un evento che mette speranza, che fa sognare un'altra Gaza, dove si possa vivere in pace e in sicurezza.

Dopo tante macerie, lasciate dal conflitto del 2014, ecco un Festival giunto alla II edizione dove non esiste un solo cinema. Se qualcuno vuole vedere un film, lo deve vedere via Tv oppure via internet, e non sempre si tratta di film di qualità.

Chi scrive è a Gaza per un progetto di formazione e microcredito di donne povere con vari problemi familiari, vedove, donne che hanno subito violenza, che a fatica trovano il denaro sufficiente per sfamare i loro figli. Talvolta con l'unica risorsa dell'assegno di povertà o il pacco alimentare. Certo, c'è chi sta meglio, ci sono i giovani che fanno l'università (meglio che disoccupati), ma di fatto Gaza è un Paese che dall'assistenza trae il suo reddito. Il microcredito per le donne è qualcosa di nuovo, sono fondi che si ricevono e si restituiscono per consentire ad altre donne di usufruirne, per intraprendere un'attività economica che potrà fornire loro una possibilità di reddito non assistito e, per molte, una svolta importante nella loro vita.

All'arrivo a Gaza campeggiano, tra i vari manifesti in strada, da un lato un enorme cartellone in ricordo di tre bambine morte bruciate in casa e dall'altro l'immagine del Human Rights Film Festival "Red Carpet". Scritto in inglese, da non credere. Ho subito chiesto di cosa si trattasse. A dir la verità avevo un vago ricordo che già l'anno scorso c'era stato qualcosa del genere. Ma essere a Gaza, in coincidenza con questo evento, mi ha fatto riaffiorare tutta la passione per il cinema e soprattutto per la sua diffusione.

Promuovere un festival a Gaza non è molto semplice, al di là degli ovvi problemi organizzativi; si aggiungono anche quelli dei permessi, delle lunghe attese per le autorizzazioni. L'inaugurazione si doveva svolgere all'aperto, come l'anno scorso, quando era stato scelto di stendere il red carpet tra le rovine di Khan Younis. Quest'anno è stato scelto il porto, altro simbolo di limitata possibilità di circolazione. "Let's us breathe" ("Lasciateci respirare") è il motto di questa edizione. Alla fine l'autorizzazione per la serata inaugurale al porto non è arrivata e così hanno ripiegato su un teatro, ma non hanno rinunciato al red carpet che è stato steso fino alla strada, con a lato una barca: simbolo della liberta di viaggiare... In un Paese chiuso, dove non si entra e non si esce senza permessi speciali (e per di più non sempre concessi).

Il film di apertura è stato The Idol del regista palestinese Hany Abu-Assad, proiettato in un'atmosfera elettrica, con battimani e fischi, una situazione simile a quella raccontata dal film di Giuseppe Tornatore Nuovo cinema paradiso.

Per 7 giorni verranno proiettati più di 70 opere cinematografiche tra cortometraggi e lungometraggi, film di finzione e documentari. Opere provenienti da varie parti del mondo, con un accento su film in cui si parla di gente, storie di vita, passioni e incontri. Una finestra aperta sul mondo, perché Gaza è parte del mondo, anche se spesso dimenticata.

Un evento importantissimo, soprattutto per la gioventù di Gaza, la gran parte del pubblico in sala. Gli organizzatori portati in trionfo sulle spalle, in un'allegria infuocata. Insomma, la vittoria del cinema sulla Guerra. Cinema come strumento di cultura, conoscenza e comunicazione che le guerre non riescono a cancellare e che può riconciliare i popoli. Jalla!