Roma è l’incontro del presente con la memoria, un processo che mi ha portato ad avvicinarmi ai miei ricordi per poi metterli sullo schermo senza giudicarli. Si sono create dinamiche che non avevo calcolato, sono riuscito a comprendere molte cose, anche se il film non doveva e non voleva dare risposte. Ci sono molti simboli, ovviamente, ma sarà lo spettatore a coglierli liberamente”.

Alfonso Cuarón torna in Concorso alla Mostra di Venezia cinque anni dopo l’acclamato Gravity e lo fa con il suo progetto più intimo e personale, che ci riporta agli inizi degli anni Settanta in un quartiere di Città del Messico, la Colonia Roma (da qui il titolo del film): la storia segue le vicende di Cleo (Yalitza Aparicio) giovane collaboratrice domestica di una famiglia benestante.

 

“Il personaggio di Cleo è basato su una persona vera, si chiama Lio, ed è stata la nostra bambinaia. Viveva con noi, faceva parte della nostra famiglia e noi siamo diventati la sua”, racconta il regista, che torna a spiegare il processo che ha portato alla realizzazione del film: “Il percorso era legato alla memoria, ma per farlo mi sono riavvicinato a quei ricordi anche alla luce del presente. Mi sono avvicinato a quel personaggio, a partire certo dal mio ricordo ma soprattutto anche grazie alle conversazioni che ho avuto con Lio, parlavo con lei durante le riprese e anche Yalitza che l’ha poi interpretata parlava con lei”.

Girato in bianco e nero 65mm, il film vede Cuarón impegnato anche alla fotografia e al montaggio: “Come di consueto, anche questa volta il direttore della fotografia doveva essere Emmanuel Lubezki. Abbiamo fatto un piano di lavorazione, ma poi le riprese sarebbero durate 110 giorni ed era impossibile coordinarci con lui. Quindi piuttosto che imporre a qualche altro direttore delle luci, la stragrande maggioranza tutti anglosassoni, un punto di vista così radicalmente personale, ho preferito occuparmene direttamente io”, dice il regista, che si sofferma anche sulle altre scelte di natura stilistica: “Quando il film è stato concepito c’erano solamente tre elementi chiari. Uno era il personaggio di Cleo, lo strumento per raccontarlo era la memoria e la cifra estetica per farlo era data dal bianco e nero. L’utilizzo di molti piani-sequenza è legato al fatto che a parlare è la memoria: non volevo che la questione fosse soggettiva, volevo che il racconto fosse oggettivo e con i piani-sequenza si astrae il discorso, si dà distanza, si toglie il giudizio, con la macchina da presa che non si intromette nel flusso dei momenti, tentando di assorbire il tempo reale il più possibile”.

Ambientato fra il 1970 e il 1971, il film è un ritratto della famiglia e della comunità di Cuarón, ma anche del paese centroamericano in un momento politico cruciale della sua storia. Come la famiglia rappresentata in ​Roma, con il padre-marito che abbandona il tetto coniugale, anche il Messico sta attraversando una trasformazione sconvolgente. Una serie di proteste studentesche a favore della democrazia culminano nel tristemente famoso Massacro del Corpus Christi, quando un gruppo paramilitare appoggiato dal governo e noto come ​Los Halcones (i Falchi) uccise brutalmente 120 persone.

“Il contesto sociale e quello familiare sono equivalenti, nessuno prevale sull’altro nel film”, dice ancora il regista, che però torna a soffermarsi sulla figura centrale dell’opera, Cleo: “Quando cresci con chi ami non metti in dubbio la sua identità, e mi sono sforzato quindi di rivederla oggi come una donna, partendo dalle sue origini, anche di classe più bassa. Tutte cose che quando ero bambino non potevo capire. Le donne nella mia casa sono quelle che hanno portato avanti tutto, non c’erano uomini alla fine. Da quando sei adolescente inizi a capire meglio certe situazioni, ma la cosa sorprendente è stata scoprire questo personaggio come donna. Ed è una cosa che ti succede anche con la tua mamma, la percepisci sempre come mamma, non come donna”.

 

Donna, Cleo, che vive sullo schermo grazie all’interpretazione di Yalitza Aparicio, una ragazza senza esperienza di recitazione scoperta da un meticoloso casting director in un villaggio rurale nello stato messicano di Oaxaca. “Tutto il personale del casting è andato di villaggio in villaggio ed è così che abbiamo trovato Yalitza. Le ho chiesto chi fosse la sua migliore amica e Yalitza ci ha presentato Nancy García che, a sua volta, impersona Adela, la sua migliore amica nel film”, spiega Cuarón.

Che affronta con disinvoltura anche l’argomento legato alla distribuzione del film, targato Netflix: “Questo film sarà distribuito in molti stati anche sul grande schermo. Girato in 65mm, è naturale che la sua collocazione più idonea sarebbe la sala, ma non dobbiamo comunque dimenticare quale sia la difficile situazione delle produzioni e distribuzioni internazionali quando si ha a che fare con film di questo tipo. Ed è il motivo importante per cui dobbiamo ringraziare Netflix, perché senza di loro forse il film non sarebbe stato possibile farlo. E quello che conta, alla fine, è che il film abbia un certo impatto, per far sì che perduri nel tempo. Come i film di Antonioni o Bresson, ad esempio. E vi chiedo: quando è stata l’ultima volta che avete visto un loro film? E dove è successo? In sala o a casa?”…