Aferim!, il film rumeno in concorso a Berlino, è un western in bianco e nero girato nella provincia d’Europa più remota, ai confini orientali della Romania. Nel 2009 il regista Radu Jude era già stato alla Berlinale con il bel The Happiest Girl in the World, scarno ritratto di una ragazza nella Romania di oggi e critica minimale del capitalismo nelle sue forme più efferate.

Aferim! racconta di un gendarme e di suo figlio che, su commissione di un proprietario terriero, vanno a caccia di uno schiavo zingaro fuggito dal padrone. È il 1835. Sembra oggi. Jude regala una parabola scurrile e ironica su pregiudizi e abusi di potere. Razzismo e ignoranza. Paure e abitudini. Il padre Costandin (Teodor Corban) è sempre sicuro di tutto. La grappa non si assaggia, ma si ingoia d’un fiato. Gli zingari sono bestie. I preti, naturalmente, creature demoniache, come tutti gli esseri viventi in cui non scorra puro sangue rumeno. Il figlio Ionita (Mihai Comanoiu) annuisce a ogni amenità. Lo schiavo zingaro Carfin (Mihai Comanoiu), un ragazzino neanche adolescente, viene trovato. Pare addirittura che abbia dormito con la moglie del padrone Iordache (Alexandru Dabija). Il mondo di regole e convinzioni di Costandin sembra tornare in ordine, se non fosse che a preoccuparlo è il comportamento un po‘ effemminato del figlio. Nel loro lungo viaggio a cavallo attraverso le impervie regioni della Romania, oggi uguali ad allora, Costandin e Ionita incontrano quasi ogni nazionalità e religione. Nessuna, naturalmente, degna di fiducia. Neanche i paesi occidentali sono salvi perché‚ “ai francesi piace la moda, gli inglesi pensano troppo e gli italiani sono bugiardi“.

La situazione tra i tre durante il viaggio - lo schiavo Carfin deve essere restituito al suo padrone che dovrà punirlo con la morte - cambia radicalmente. Alla fine Costandin ha quasi un nuovo figlio. Durante l’interrogatorio la verità arriva: è la moglie del padrone ad aver importunato il ragazzini, non il contrario.

Aferim! è un bel mix di Balcan-western e road movie in bianco e nero. Uomini soli, donne in vendita, misteriosi stranieri. Radu Jude ha utilizzato documenti storici e antiche canzoni popolari per raccontare un capitolo importante della storia rumena che, non dimentichiamolo, da europei, è anche la nostra storia: l’occupazione russa dal 1828 al 1834, con la sua portata di riforme, leggi e istituzioni quasi moderne. Ma, riforme a parte, la vita o sopravvivenza nelle provincie va avanti su un reticolo di razzismo sfrenato contro zingari e ebrei, per l’usurpazione della terra, di beni, di uomini. “Quel razzismo, oggi, non è meno diffuso di allora. Per questo ho fatto questo film“, così il regista. Ma perché allora non sono i rom i protagonisti della storia? “Non parlo del fenomeno della schiavitù in Romania, ma del pregiudizio“.

Il regista, che non appartiene alla minoranza rom, conclude: “Volevo raccontare una storia da una prospettiva terza, esterna. Sono convinto che da questa prospettiva la verità sia ancora più vicina“.