"Osservo la società, cerco di criticarla, durante un periodo difficile. Una società che dovrebbe essere in via di ricostruzione dopo anni di terrorismo e violenze incredibili. E che invece è ancora una società malata, anche se non riconosce di esserlo". Così l'algerino Merzak Allouache presenta il suo Les Terrasses, ultimo tra i film in concorso a Venezia che racconta una giornata di Algeri vista dalle terrazze di cinque quartieri differenti e cadenzata dai cinque momenti di preghiera previsti dalla religione musulmana: "La terrazza non ha più il ruolo che aveva un tempo, ora è un luogo di vita, di conflitti, dove è possibile trovare gli squatters", dice ancora il regista, che aggiunge: "Certo, alcune situazioni che racconto nel film possono sembrare al limite dell'assurdo, ma è un'opera di finzione attraverso cui mi permetto di fare cose che non potrei fare in un documentario. Questo per rendere esemplari alcuni conflitti che molto spesso nel nostro paese si fa finta di non vedere. Il film vuole essere anche un campanello d'allarme".
Algeri, cinquant'anni dopo: "Non solo La battaglia di Algeri è un punto di riferimento per la mia ispirazione, ma da giovane sono stato anche stagista sul set del film di Pontecorvo. Giravamo nella casbah ed ero fiero venisse affrontata quella parte della storia algerina. Oggi sono tornato lì e la casbah è in uno stato di abbandono", racconta ancora Allouache. Che nega di aver avuto problemi "politici" per realizzare Les Terrasses: "In Algeria il cinema ormai è quasi morto, le sale sono scomparse e la gente non va più a vedere i film. Per il lavoro precedente a questo mi avevano rifiutato i finanziamenti perché considerato 'ambiguo': stavolta non ho avuto problemi a realizzare il film, ma oggi sono qui, al Festival di Venezia, per presentarlo ufficialmente al mondo, e purtroppo non vedo nessuna autorità algerina ad appoggiarlo".