U-571

FRANCIA 2000
Aprile 1942: la Germania nazista ha dichiarato guerra agli Stati Uniti. Lungo la costa atlantica la flotta alleata subisce pesanti perdite ad opera dei sommergibili di Hitler, gli U-Boot. Per tentare di impossessarsi di Enigma, il codice segreto di trasmissione in dotazione ai mezzi navali nazisti, il sommergibile americano S-33 viene modificato in modo da somigliare ad un U-Boot. Dovrà poi dirigersi nel più assoluto segreto verso un sommergibile tedesco incagliato per tentare di trafugare Enigma. Ma, a questo punto, verrà scambiato dagli americani per un sottomarino tedesco con conseguenti colpi di scena.

TRAMA LUNGA
Nell'aprile 1942 gli U-Boot, sommergibili tedeschi, sono scesi in guerra contro gli Stati Uniti. Incapace di decifrare i codici radio nemici, la marina statunitense non sa come reagire. Alla fine viene deciso di richiamare in servizio l'S-33, un vecchio sommergibile della prima guerra mondiale con molti difetti ma con un equipaggio di prim'ordine. Al comando c'è il capitano di corvetta Mike Dahlgren, mentre il secondo è il tenente di vascello Andrew Tyler, che si è appena visto sfuggire una promozione da tempo attesa grazie alla quale avrebbe lui stesso potuto assumere il comando. Quando sono in alto mare, gli uomini dell'equipaggio conoscono la loro missione: lo scafo dell'S-33 viene modificato in modo da assomigliare ad un U-Boot. Dopo si dirigerà verso un sommergibile tedesco incagliato, e gli uomini saliranno a bordo per sostituirsi a quelli tedeschi: il tutto allo scopo di impossessarsi di Enigma, un dispositivo di codificazione top secret che potrebbe essere decisivo per porre fine agli attacchi navali nazisti. L'agguato va a buon fine ma in seguito i marinai americani restano intrappolati nel sommergibile nemico, difficile da governare per la differente impostazione tecnica e i problemi della lingua. Solo grazie alle capacità di comando di Tyler e al sacrificio di uno del gruppo, il sommergibile riesce ad emergere, avendo nel contempo portato a termine la missione.
SCHEDA FILM

Regia: Jonathan Mostow

Attori: Matthew McConaughey - Tyler, Bill Paxton - Dahlgren, Harvey Keitel - Chief, Jon Bon Jovi - Emmett, David Keith - Coonan, Erik Palladino - Mazzola, T.C. Carson - Eddie, Matthew Settle - Larson, Tom Guiry - Trigger, Jake Weber - Hirsch, Thomas Kretschmann - Wassner, Derk Cheetwood - Griggs, Will Estes - Rabbit, Dave Power - Tank, Jack Noseworthy - Wentz

Soggetto: Jonathan Mostow

Sceneggiatura: Jonathan Mostow, David Ayer, Sam Montgomery

Fotografia: Oliver Wood

Musiche: Richard Marvin

Montaggio: Wayne Wahrman

Scenografia: William Ladd Skinner, Götz Weidner

Costumi: April Ferry

Effetti: Peter Donen

Durata: 115

Colore: C

Genere: GUERRA

Specifiche tecniche: 35 MM (1:2,35)

Produzione: DINO E MARTHA DE LAURENTIIS PER CANAL+ IMAGE, UNIVERSAL PICTURES

Distribuzione: U.I.P.

NOTE
- LO SCENOGRAFO WILLIAM LADD SKINNER E' ACCREDITATO COME WM. LADDER SKINNER.

- OSCAR 2001 PER I MIGLIORI EFFETTI SONORI A JANTY YATES.
CRITICA
"Emozioni di repertorio? Forse sì. Però il repertorio delle emozioni non è roba facile da maneggiare come si crede. Il film di Mostow funziona quasi sempre, rilancia spesso la suspense al momento giusto, in due o tre sequenze si segue quasi in apnea. Missione compiuta, insomma. A patto di tenere ben presente che 'U-571' più che un film di guerra, è un film d'avventura. La realtà, invece, non comporta per contratto l'happy end. Come ha dimostrato abbondantemente la tragedia del sottomarino russo Kursk. E se ripensi a quest'ultima, guardando il film ti ritrovi a seguire gli eroismi in formato kolossal con un certo disagio". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 5 settembre 2000)

"Come i dirigibili o i palloni aerostatici o i carri armati, anche i sottomarini hanno il loro manipolo di affezionati cultori. Non afflitti da disturbi claustrofobici, amanti del mare e della vita acquatica che guizza al di là di qualche centimetro di metallo-salvavita, e sicuramente, in guerra, vittime della globalizzazione che vuole anche le profondità marine veri e propri campi di battaglia, le eroiche ciurme, forzate e compresse a queste missioni temerarie tra oceani e mari interni, sono state sempre particolarmente cinematografiche. A partire dal fascino del sottomarino Nautilus, quello del Capitano Nemo di Verne-Disney, che combatteva per fini più umanitari e new-age, sino alla versione più scanzonata, colorata e musicale della storia, lo Yellow Submarine dei Beatles.
U-571, invece, neo-produzione a firma De Laurentis, storia e regia di Jonathan Mostow, gruppo di attori più o meno bene assortiti, si colloca a conclusione di un'ideale trilogia "sottomarina", iniziata esattamente vent'anni fa dal tedesco Wolfgang Petersen con il quasi omonimo U-Boot 96 (1980) e proseguita a metà strada con Caccia a Ottobre Rosso (1990). Non è un semplice film di guerra e nemmeno una raffinata analisi della vita quotidiana in quelle macchine di morte che ci aveva descritto l'antecedente tedesco, né un'avventura contemporanea sulla scia delle paure atomiche e delle schizofrenie terroristiche raccontate come un thriller da quello americano. Questo nuovo U-571 si appiglia, infatti, ad una storia vera della Seconda Guerra Mondiale, manipolandola a fini spettacolari per conseguire la giusta collocazione degli eroi e la successione drammatica di avvenimenti legati ad una missione di spionaggio che si tramuta in una pericolosa lotta per la sopravvivenza. Una tensione facilmente raggiungibile quando si sta a quasi 200 metri sotto la superficie del mare con bombe che scoppiano dovunque, metalli che scricchiolano per la pressione da incubo, marinai che, senza vie di scampo, sudano per la paura della morte ed acqua, tanta, che schizza da tutte le parti creando scintille, incendi e fumo. Il dato storico di partenza è l'attacco dei sottomarini tedeschi alla flotta americana a partire dal 1942, con una linea difensiva degli alleati allo sbando per l'impossibilità di decifrare i criptati messaggi radio dei tedeschi che operano grazie ad un dispositivo chiamato Enigma. Quando un U-boot in avaria viene intercettato con una di queste preziose macchinette a bordo, gli americani si fingono tedeschi per recuperarla. Ma l'imprevisto corre sul filo dell'acqua. Così, le sorti, gli equipaggi, gli scafi, entreranno in una collisione inaspettata di situazioni, basate sull'equivoco, la sorpresa e la necessità di vincere salvandosi la pelle. Ci sono alcune cose notevoli ed intriganti in questo film: la precisione della ricostruzione interna del sottomarino (curata da Götz Weidner, uno specialista e già responsabile delle ricostruzioni nel film di Petersen), la corsa ad ostacoli contro imprevisti e nemici, la sensazione di angoscia e ansia che coglie sempre coloro che si trovano ad armeggiare, per sopravvivere, in ambienti sconosciuti ed ostili, siano questi un pianeta o un'astronave, una casa misteriosa o un sommergibile. Americani inscatolati dentro una macchina tedesca, inseguiti da tedeschi che, dapprincipio, non li riconoscono come americani. Ne sopravviveranno solo sette, con il loro trofeo, la preziosa Enigma ben insacchettata, per sovvertire le sorti di un conflitto. In questa lotta contro il tempo e contro la paura, che nella seconda parte si allunga nello sproporzionato inseguimento sottomarino-nave, giocano un ruolo fondamentale Jon Bon Jovi, tenente di vascello, e Matthew McConaughey, che non perde il suo fascino trasparente anche quando è vestito in mimetica scura dentro un ambiente scuro. Proprio la mancanza di spazio e di luce gioca, invece, a sfavore di Harvey Keitel: il suo baffo spaesato non si addice alla figura del nostromo. Mentre Bill Paxton è quasi marginale: sparirà presto. L'istinto ci porta, come sempre, a tifare per gli americani. Questo è un film americano. In fondo, per le regole della storia e dell'avventura, è il suo scopo. La pietà e l'orrore dovrebbero ricordarci, però, che anche giovani tedeschi, altrettanto valorosi e irresponsabili, combatterono difendendosi. E le acque di quell'oceano racchiudono migliaia di vite di entrambe le parti. Elogio della follia. (Luca Pellegrini, Rivista del Cinematografo on line, 4 settembre 2000)

"Era dai tempi di 'U-Boot', biglietto da visita per Hollywood del tedesco Wolfgang Petersen, che non si vedeva riprodotta sullo schermo con tanto verismo la vita in un sottomarino: claustrofobica e angosciosa, soprattutto adesso che vi si riverbera la tragedia del sommergibile atomico russo recentemente affondato. Tuttavia in 'U-571' di Jonathan Mostow, prodotto da Dino e Martha De Laurentiis, il realismo dell'ambientazione è al servizio del grande spettacolo; e il film è quello che si propone di essere: un'avventura di guerra mozzafiato come si facevano una volta, ma con i sommergibili ricostruiti a misura naturale nello Studio 5 di Cinecittà e con l'uso delle tecnologie più sofisticate". (Alessandra Levatesi, 'La Stampa', 5 settembre 2000)

"Rapidi e invisibili tornano i sommergibili, uno dei temi che il cinema di guerra predilige da sempre. Ritrovando il fiuto delle sue imprese produttive più memorabili e senza badare a spese, Dino De Laurentiis ha ricostruito in 'U-571' un sottomarino tedesco e uno americano che si scontrano nella Seconda Guerra Mondiale. Affermatosi tre anni fa con 'Breakdown', sempre sotto le insegne di De Laurentiis, il regista Bill Mostow rivela un mestiere che non è da principiante, un senso del ritmo infallibile e un piacere dell'effetto. Imprigionato in quelle bare d'acciaio che trasmettono una tremenda sensazione di claustrofobia, gli interpreti sono stati coraggiosamente scelti al di fuori del divismo: sicché Matthew McConaughey, Bill Paxton, Harvey Keitel, John Bon Jovi e compagni rischiano di apparire quasi veri in un'avventura ai limiti dell'inverosimile. Insomma è come se Dino avesse tradotto 'Uomini sul fondo' nel linguaggio hollywoodiano degli effetti speciali rispettando in qualche misura l'austerità dell'archetipo". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 7 ottobre 2000)

"Nella tendenza 'inglesi, fatevi in là', che imperversa a Hollywood dopo il successo de 'Il patriota', arriva 'U-571' di Jonathan Mostow, film di guerra serratissimo. Merito di Mostow, che riduce al minimo la caratterizzazione dei suoi guerrieri. Nulla di ciò che racconta U-571 è vero. In questa estrema produzione delaurentiisiana s'è infatti tenuto conto solo di raggiungere il maggior numero degli spettatori possibile, per riportare a casa i 150 milioni di dollari spesi. Per questo l'area di mercato determinante è quella americana; l'area ulteriore è quella germanica. Morale: gli americani devono vincere e i tedeschi perdere". (Maurizio Cabona, 'il Giornale Nuovo', 5 settembre 2000)

"Conciso, spettacolare, ispirato a un episodio storico (ma i marinai erano inglesi), puntiglioso nella ricostruzione fisica della claustrofobia da scafandro, dell'implosione dello spazio e dell'impresa umana, segna il ritorno a Cinecittà dell'esiliato Dino De Laurentiis, che a 80 anni produce un colossal di guerra da 120 miliardi affidato a un giovanotto di talento, Jonathan Mostow. Filmone d'una volta, ma con la potenza digitale nostra contemporanea. Non delude". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 14 ottobre 2000)

"Prodotto da Dino De Laurentiis, 'U-571' mantiene quanto promette: azione, suspense, effetti speciali, corretta realizzazione. Se si cercano guizzi di regia o trovate inventive, meglio rivolgersi altrove: ma il regista Mostow ha tutte le carte in regola per portare a termine la sua fatica senza esitazioni. L'idea di fondo è che bisognava fare un film collettivo perché il vero protagonista doveva essere il sommergibile ricostruito a Cinecittà, e tutti si sono prontamente adattati. Anche Harvey Keitel, che per l'occasione è buono come il pane e indossa una divisa immacolata: non gli era mai successo prima". (Stefano Della Casa, 'Film TV', 17 ottobre 2000)

"Non c'è nulla di male nel voler riprendere e riproporre un sottogenere come quello bellico - somergibilistico: ma bisognerebbe aggiungere qualche elemento nuovo. Cosa che avevano già fatto, più o meno recentemente, 'U-Boat 96' e 'Caccia a Ottobre Rosso'. Mostow ripropone, invece, un film con gli stessi stereotipi degli anni '40 e '50: il sonar che rimbalza, le bombe di profondità, il duello fra sommergibile e caccia, l'equipaggio che rischia la fine del topo. Nulla di nuovo, tutto già visto: compresa certa retorica, fra cui l'insopportabile pistolotto del veterano Harvey Keitel al pivello Matthew McConaughey . C'è solo qualche effetto speciale in più. Se poi aggiungiamo che il film falsa la verità storica, attribuendo agli americani ciò che fecero gli inglesi, vien da chiedersi: perché?". (Marco Balbi, 'Ciak', 1 novembre 2000)