TESTE RASATE

ITALIA 1992
Marco ha ventidue anni. Vive con la madre, un'infermiera che fa i doppi turni per mantenere se stessa e quell'unico figlio che la riempie solo di preoccupazioni. Marco ha cambiato sette scuole, di lavoro non se ne parla, la sua vita di tutti i giorni si divide tra il bar sotto casa con i tre amici di sempre, tra sport, moto e scorribande notturne nei locali, alla ricerca di qualche novità da esaltare il giorno dopo al solito bar e l'incontro d'amore con una giovane colf somala, Zaira. Un ragazzo come tanti nella periferia soffocata dal cemento del quartiere tuscolano. Finché una mattina ha l'incontro che gli cambia la vita. Una "testa rasata", un leader autoritario e massiccio, Saverio (detto il Fuhrer) che agisce senza esitare davanti ad una situazione dove nessun altro ha preso l'iniziativa, Marco lo osserva rapito senza capire le reali intenzioni dell'altro. Per lui quell'incontro è la scintilla che a poco a poco divampa per svilupparsi in un fuoco sacro. Marco lo segue, lo spia e scopre che Saverio (il Fuhrer) è a capo di un covo di naziskin che praticano arti marziali e spedizioni punitive contro gli extra comunitari e i commercianti di fede ebraica. Per marco diventa essenziale farsi accettare da quel gruppo così seducente nella loro integrità fisica e di concetto. Pur di arrivare alla loro stima accetta di vivere in piena schizofrenia dilaniata dalla più grande delle contraddizioni. Il rapporto con Zaira, che va avanti crescendo di intensità è tenuto gelosamente nascosto ai "nazi" con i quali Marco partecipa alle scorribande punitive di notte. Ecco che il suo senso della realtà vacilla, si incrinano i rapporti. Dapprima con gli amici del bar, poi con la madre, con il commerciante ebreo, l'unico pronto e disposto a farlo ragionare dall'inizio della sua fascinazione. Infine con Zaira la sola vera base solida e sincera della sua giovane vita. Finché l'odio e il senso di colpa, il rancore di una esistenza priva di margini e di futuro non degenerano nel delirio più bieco, nell'aberrazione, nella tragedia antica e prevedibile anche se volutamente casuale. L'orrore del quotidiano è solo una metafora per far gridare ai più giovani la loro impotenza di fronte ad un "esistere" indifeso e fragile. Un grido che riporta in sé l'eco di angoscia e disperazione delle ultime generazioni.
SCHEDA FILM

Regia: Claudio Fragasso

Attori: Gian Marco Tognazzi - Marco, Francesca Riolo - Studentessa, Luce Puglia - Banchista, Giancarlo Palermo - Saro, Antonello Morroni - Naziskin, Marco Morabito - Luca, Stefano Molinari - Beppe, Giulio Base - Saverio, Franca Bettoja - Roberta, Giulio Bianchini - Cesare, Roberto Blanco - Cameriere Di Colore, Flavio Bucci - Riccardo, Francesco Acquaroli - Commissario, Veronica D'Ombra - Moglie Di Saverio, Massimo Vanni - Istruttore, Enzo Marcelli - Roberto, Fabienne Gueye - Raira, Enzo Ceccarelli - Proprietario Bar

Soggetto: Rossella Drudi

Sceneggiatura: Rossella Drudi

Fotografia: Luigi Ciccarese

Musiche: Eugenio Bennato, Sergio Cammariere

Montaggio: Ugo de Rossi

Scenografia: Claudio Bissattini

Costumi: Giovanna Russu

Durata: 97

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Produzione: GINO USAI E CARMINE DE BENEDETTIS

Distribuzione: CENTURY FILM EUROPA - MULTIVISION, VIDEOPIU' ENTERTAINMENT (COLLECTION)

CRITICA
"Pregi se vogliamo, soprattutto formali, perchè il racconto, a volte perfino ambiguo in certi giudizi, delude, tali però, soprattutto per un esordio, da doversi segnalare: perchè rappresentano, per l'avvenire dell'autore, delle premesse non indifferenti." (Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 18/04/93)

"Rozzo e violento, non conferisce soverchio lustro a un filmaker che aveva esordito con un cultmovie a costo zero, impantanandosi poi nell'horror di serie Z." (Jose D'Arcangelo, Paese Sera, 18/04/93)

"I personaggi sono spesso grossolani e implausibili: la splendida somala (Fabiene Gueye) sembra molto più un'indossatrice, una spogliarellista che un'umile immigrata, l'orefice ebreo di Flavio Bucci sembra uscito da un film di propaganda antisemita di Veit Harlan, Tognazzi e il suo personaggio avrebbero forse dato di più se meglio indirizzati. Risulta invece efficace ed inquietante anche nel senso di sfiorare il fascino dell'antieroe maledetto, il "Fuhrer" di Giulio Base, attore e regista a sua volta." (Paolo D'Agostini, La Repubblica, 17/04/93)

"Alle buone intenzioni civili non corrisponde una buona qualità del film, mal riuscito e mal recitato, ma ha soltanto un valore di testimonianza su un problema sociale grave, troppo spesso sottovalutato, considerato folcloristico o addirittura rimosso." (Lietta Tornabuoni, La Stampa, 24/04/93)