La fabbrica dei tedeschi

Mimmo Calopresti porta in docufiction il ricordo dell'inferno della ThyssenKrupp

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ITALIA 2008
Costruita attraverso ricerche sul campo e testimonianze dei parenti delle vittime, la docu-fiction ripercorre i tragici avvenimenti accaduti nel dicembre 2007 nell'acciaieria ThyssenKrupp a Torino dove, a seguito di un grave incidente, morirono sette operai.
SCHEDA FILM

Regia: Mimmo Calopresti

Attori: Valeria Golino - Anna, Monica Guerritore - La madre, Luca Lionello, Silvio Orlando, Rosalia Porcaro, Vincenzo Russo, Giuseppe Zeno

Sceneggiatura: Mimmo Calopresti, Cristina Cosentino

Fotografia: Paolo Ferrari (II)

Musiche: Riccardo Giagni

Montaggio: Raimondo Ferrari

Scenografia: Alessandro Marrazzo

Suono: Sandro Zanon, Remo Ugolinelli, Roberto Remorino Gambotto

Durata: 90

Colore: B/N-C

Genere: DOCUFICTION DRAMMATICO

Specifiche tecniche: HD, 35 MM

Produzione: SIMONA BIANCHI E VALERIO TERENZIO PER STUDIO UNO

Distribuzione: ISTITUTO LUCE

Data uscita: 2008-11-19

TRAILER
NOTE
- EVENTO DELLA SEZIONE 'ORIZZONTI' ALLA 65. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2008).

- REALIZZATO CON IL SOSTEGNO DI FILM COMMISSION TORINO PIEMONTE E DELLA REGIONE PIEMONTE (PIEMONTE DOC FILM FUND - FONDO REGIONALE PER IL DOCUMENTARIO).

- CANDIDATO AL NASTRO D'ARGENTO 2009 COME MIGLIOR DOCUMENTARIO.
CRITICA
"Emozione e rabbia, tanta, nel seguire l'asciutto, intenso film-documento e film-denuncia sulle cosiddette morti bianche di Mimmo Calopresti, 'La fabbrica dei tedeschi', incentrato attorno alla tragedia della ThyssenKrupp nella quale persero la vita sette operai nella notte tra il 5 e 6 dicembre 2007. Interpretato, per uno spicchio di fiction che lascerà poi il posto a ricordi, testimonianze dei parenti delle vittime, sopralluoghi davanti ai cancelli della fabbrica, da Valeria Golino, Monica Guerritore, Luca Lionello, Silvio Orlando, Rosalia Porcaro, Vincenzo Russo e Giuseppe Zeno (i loro cachet sono stati devoluti alle famiglie delle vittime), il film comincia in bianco e nero con gli interpreti che danno corpo a mogli, madri, padri, fratelli nel momento di quel saluto tanto normale quanto agghiacciante, pensando che sarà l'ultimo alle vittime della tragedia. E c'è la quotidianità prima del grande rogo. Nel finale, Calopresti ha voluto inserire la vera voce registrata al 118 di Torino e ripresa da Internet, di uno degli operai che di lì a poco morirà tra le fiamme. Parlano famiglie, colleghi degli operai morti e la macchina da presa di Calopresti è lì, fissa sulla strada davanti ai cancelli della acciaieria, a voler sottolineare la voglia di esserci per non dimenticare". (Leonardo Jattarelli, 'Il Messaggero', 05 settembre 2008)

"C'è, in questo bel film di Calopresti, un pezzo della realtà del lavoro di oggi. I giovani che ci consegna mostrano, verso la fabbrica, una specie di odio-amore. Ricordano e rivivono i momenti di allegria collettiva, il condividere sacrifici con momenti di solidarietà. Ma non amano il loro lavoro. Non hanno l'orgoglio dei padri. Sognano altro. Sognano di fare quello per cui hanno studiato. Oppure di fare l'attore. O il barista. E la morte spazza ambizioni e desideri". (Bruno Ugolini, 'L'Unità', 4 settembre 2008)

"Con uno stile televisivo e empatico, per non dire strappalacrime, si racconta il dopo tragedia. Mimmo Calopresti - un po' troppo in scena - incontra amici, colleghi e parenti, dopo aver dato un assaggio delle storie e delle speranze delle sette vittime con una serie di veloci scene-monologhi di fiction. (...) Stile da documentario televisivo con ricostruzioni, testimonianze e uso di tutti i mezzi possibili". (Boris Sollazzo, 'Il Sole 24 ore', 5 settembre 2008)

"Ne 'La fabbrica dei tedeschi', Calopresti incentra la sua attenzione soprattutto sui parenti delle
vittime che nella prima parte del documentario, in un bel bianco e nero, vengono interpretati da attori come Valeria Golino, Monica Guerritore, Silvio Orlando per poi passare alle testimonianze originali: madri che odiano andare al cimitero, sorelle che sarebbero volute morire anche loro tra le fiamme, mogli che aspettavano il terzo figlio. È chiaro che niente, dopo, è stato più come prima. E il tempo che passa non lenisce il dolore perché, risuona lapidario nel film, 'per questo non c'è medicina'". (Pedro Armocida, 'Il Giornale', 5 settembre 2008)