Le confessioni

3/5
Roberto Andò gira un film ambizioso e intenso, dal significato non sempre chiarissimo. Con un Toni Servillo ieratico

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ITALIA 2016
Germania. In un albergo di lusso sta per riunirsi un G8 dei ministri dell'economia pronto ad adottare una manovra segreta che avrà conseguenze molto pesanti per alcuni paesi. Con gli uomini di governo, ci sono anche il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, e tre ospiti: una celebre scrittrice di libri per bambini, una rock star, e un monaco italiano, Roberto Salus. Per un fatto tragico e inatteso, però, la riunione deve essere sospesa. In un clima di dubbio e di paura, i ministri e il monaco ingaggiano una sfida sempre più serrata intorno al segreto. I ministri sospettano infatti che Salus, attraverso la confessione di uno di loro, sia riuscito a sapere della terribile manovra che stanno per varare, e lo sollecitano in tutti i modi a dire quello che sa. Ma le cose non vanno così lisce: mentre il monaco - un uomo paradossale e spiazzante, per molti aspetti inafferrabile - si fa custode inamovibile del segreto della confessione, gli uomini di potere, assaliti da rimorsi e incertezze, iniziano a vacillare...
SCHEDA FILM

Regia: Roberto Andò

Attori: Toni Servillo - Roberto Salus, Daniel Auteuil - Daniel Roché, Connie Nielsen - Claire Seth, Pierfrancesco Favino - Ministro Italiano, Marie-Josée Croze - Ministro Canadese, Moritz Bleibtreu - Mark Klein, Richard Sammel - Ministro Tedesco, Johan Heldenberg - Michael Wintzl, Togo Igawa - Ministro Giapponese, Aleksei Guskov - Ministro Russo, Stéphane Freiss - Ministro Francese, Julian Oveden - Matthew Price, John Keogh - Ministro Americano, Andy de la Tour - Ministro Britannico, Giulia Andò - Caterina, Ernesto D'Argenio - Ciro, Lambert Wilson - Kis

Soggetto: Roberto Andò, Angelo Pasquini

Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquini

Fotografia: Maurizio Calvesi

Musiche: Nicola Piovani

Montaggio: Clelio Benevento

Scenografia: Giada Esposito

Costumi: Maria Rita Barbera

Suono: Fulgenzio Ceccon - presa diretta

Durata: 100

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Produzione: ANGELO BARBAGALLO PER BIBI FILM, BARBARY FILM, CON RAI CINEMA

Distribuzione: 01 DISTRIBUTION

Data uscita: 2016-04-21

TRAILER
NOTE
- COPRODUTTORE: FABIO CONVERSI.

- REALIZZATO IN ASSOCIAZIONE CON: IFITALIA, BLACK ROCK, PATRIZIO SRL (AI SENSI DELLE NORME SUL TAX CREDIT); CON LA PARTECIPAZIONE DI: CANAL+, CINE+; CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO-DIREZIONE GENERALE PER IL CINEMA; CON IL SOSTEGNO DELLA REGIONE LAZIO-FONDO REGIONALE PER IL CINEMA E L'AUDIOVISIVO.

- NASTRO D'ARGENTO 2016 PER LA MIGLIOR FOTOGRAFIA (MAURIZIO CALVESI È STATO PREMIATO ANCHE PER "NON ESSERE CATTIVO" DI CLAUDIO CALIGARI). IL FILM ERA CANDIDATO ANCHE PER: REGISTA DEL MIGLIOR FILM E SONORO IN PRESA DIRETTA.

- CANDIDATO AI DAVID DI DONATELLO 2017 PER: MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE, PRODUTTORE, ATTORE PROTAGONISTA (TONI SERVILLO) E NON PROTAGONISTA (PIERFRANCESCO FAVINO), AUTORE DELLA FOTOGRAFIA.
CRITICA
"Sembra di respirare un'aria familiare nell'ultimo film di Roberto Andò, 'Le confessioni'. (...) Non si può non pensare a 'Todo modo' e più in generale alle atmosfere sciasciane, con i loro nomi tronchi, i loro gialli senza soluzione, i loro legami con la politica, la storia, la cronaca. Il problema è che, subito dopo, il confronto risulta impari, soffocante, anche ingiusto per un autore (Sciascia) che aveva saputo distillare in una personalissima forma di realismo metafisico le sue angosce e le sue rabbie (e delusioni). Andò invece mette in campo ambizioni più alte - addirittura l'economia mondiale e i suoi burattinai - e finisce per non reggere il gioco, dimenticando la misura dell'apologo (alla Voltaire, alla Swift) che con il suo intreccio tra satira e allegoria aveva fatto la forza del precedente e decisamente più riuscito 'Viva la libertà'. Qui, invece, la sceneggiatura (del regista e di Angelo Pasquini) finisce per cadere nella trappola di un generico complottismo moralista, dove non c'è niente da scoprire e la tesi di partenza (i responsabili dell'economia mondiale sono il male, a priori) toglie forza al film perché talmente rigida da non permettere alcuna possibile evoluzione. (...) il film abbandona la più tradizionale strada del realismo cronachistico per imboccare quella del mistero complottista. Ogni tanto il film mostra squarci in flash back della misteriosa confessione notturna, ma più che spiegare sembrano messi lì per confondere. E la messa in scena, con i suoi lenti movimenti di macchina e le inquadrature che cancellano ogni fuga prospettica a favore di un'immagine statica e frontale, sembra guidata proprio dalla voglia di aumentare il mistero e l'insondabile. (...) un quadro che finisce per rivelare solo la propria maniera, come la recitazione fin troppo sottolineata che Andò sembra aver imposto a Servillo." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 18 aprile 2016)

"Un dramma cui ha posto mano, per il testo (con Angelo Pasquini), Roberto Andò che si è poi incaricato di rappresentarlo con la sua regia dopo le belle prove che ci aveva dato al cinema con il film d'esordio, «Il manoscritto del principe», e il recente con «Viva la libertà» dal suo romanzo «Il trono vuoto». Qui è riuscito genialmente a costruire tutta l'azione in climi sospesi e in cifre in cui a prevalere sono i misteri e gli interrogativi senza risposte. Li sostiene una struttura narrativa quasi a mosaico, volutamente senza ordine cronologico, i cui tasselli vanno via via ricomposti nel corso dell'azione senza però rivelare mai - come in un giallo - quello che si nasconde fra le sue pieghe. Mentre i personaggi, ma soprattutto il monaco, e il direttore del Fondo Monetario, acquistano via via precisi contorni psicologici, senza che le opinioni rigorose del monaco intralcino con indulgenze perla retorica, la novità narrativa e drammatica del personaggio, in parallelo attento e meditato con quelle del suo interlocutore evidenziate abilmente solo quel tanto che basta a spiegarne le caratteristiche più profonde. Le sottolineano due splendide interpretazioni, quella del nostro sempre più grande Toni Servillo nei silenzi del monaco, quasi ricamati sulla mimica, e quella di Daniel Auteil, mai cinico nel personaggio invece segretamente cinico dello spietato economista. Li viviseziona entrambi il felicissimo e molto sottile commento musicale di Nicola Piovani, ai limiti della psicanalisi." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 18 aprile 2016)

"Dopo l'ispirato 'Viva la libertà', Roberto Andò gioca ancora la carta del 'fool' come strumento capace di scardinare i misteri del Potere. Con varie differenze. Primo: ne 'Le confessioni' non si officiano i riti (pubblici) della politica ma quelli ancora più gelidi dell'economia, che specialmente in questi anni non chiede il consenso degli elettori ma vola inflessibile sopra le loro teste. Secondo: il 'fool', ancora una volta l'ammirevole Toni Servillo, stavolta non è un 'matto' sapiente ma un sapiente e basta. (...) Terza differenza: la struttura quasi da thriller. Un thriller metafisico (...) in cui colpe e delitti restano da provare, ma si ragiona molto su tutto. Sul potere, sulla bellezza, sul tempo (...). E sul segreto, il segreto come arma essenziale di ogni potere, materiale e spirituale. Il segreto che è il motore di ogni giallo e il centro di questa 'conversation piece' piena di idee ma avara di personaggi a cui appassionarsi, esclusi in parte i due citati. (...) Peccato perché il segreto, nelle sue nuove declinazioni, è un soggetto inesauribile oltre che centrale (...). Ma esige personaggi meno astratti. E forse un robusto pizzico di follia in più." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 aprile 2016)

"Roberto Andò è dotato di una classe indiscutibile di regia e il congegno messo in moto dall'impostazione di «Le confessioni» inizialmente lo conferma. Circola una rarefatta atmosfera polanskiana, in effetti, nel gioco delle angolature di ripresa e dei piani alternati delle inquadrature che definiscono lo scenario del film (...). L'approccio stilistico sembra rendere, in effetti, plausibile l'originalità dello spunto narrativo (...). Finché il film prima aderisce al finto equilibrio raggiunto da personalità così onnipotenti e poi inizia a vacillare in seguito al tragico evento che innesca uri aspra battaglia sulla custodia da parte di Salus del segreto di un'imprevedibile confessione, lo spettatore è messo in grado di apprezzare l'armonia della claustrofobica partitura; anche se bisogna precisare che gran parte del suddetto effetto discende dalla versione multilingue in cui (al contrario di quanto succederà nella versione appiattita dal doppiaggio) funziona un vero e proprio sistema tonale. Il corpo «sonoro» dei dialoghi - da applausi, in particolare, quello in francese tra Auteuil e Servillo - produce in pratica una serie di altri suoni concomitanti che connettono gli elementi e il senso dell'apologo. Purtroppo, però, a poco a poco l'intreccio mystery- che a un certo punto costeggia l'angosciosa sospensione tra reale e metafisico di «Una pura formalità» - non basta più a se stesso e servendosi della temeraria identificazione di Salus con un nuovo San Francesco (...) spalanca la porta a una sequela di metafore di un imbarazzante semplicismo etico-politico. (...) Ogni scatto emotivo risulta troncato e la staticità del ritmo non riesce più a rammendare i buchi di sceneggiatura che sembrano rimandare alle teorie del complotto descritte da Umberto Eco in 'Il pendolo di Foucault'. Persino Servillo, la cui magica percezione del testo non ha rivali sul palcoscenico, paga in questo caso il prezzo richiesto da un cinema che a un certo punto sembra accontentarsi di procedere in bilico sugli aforismi, le frasi fatte e le citazioni a effetto." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 21 aprile 2016)

"II testo che per certi aspetti il nuovo film di Roberto Andò rievoca più da vicino è 'Todo Modo' di Sciascia: ma di certo il cineasta palermitano, da uomo di cultura qual è, per costruire la figura del suo protagonista ha tratto ispirazione da svariate altre opere, e senz'altro dalle 'Confessioni di Sant'Agostino'. (...) Sorta di thriller metafisico, 'Le confessioni' non sempre trova il giusto equilibrio di toni fra astrazione e realtà; e forse avrebbe tratto giovamento da una maggiore asciuttezza di dialoghi e situazioni. Ma Andò, ben coadiuvato da Maurizio Calvesi (fotografia) e Nicola Piovani (musica), si conferma cineasta di sicura classe formale, capace di svariare con finezza fra sospesa ambiguità e ironia; e Servillo modula il personaggio da par suo conferendogli fascino e spessore. Quanto all'idea della forza spirituale come baluardo ultimo di resistenza, come non condividerne il libertario anarchismo?" (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 21 aprile 2016)

"'Le confessioni' non ha nulla di realistico, è la messinscena di riti politico-economici che sembrano in contraddizione con la missione spirituale di Salus. Ma se all'apparenza il ricordo di 'Todo Modo' (romanzo di Sciascia, film di Elio Petri) è insopprimibile, a uno sguardo più attento 'Le confessioni' è il rovesciamento di quel classico: là, gli esercizi spirituali officiati dal mefistofelico prete interpretato da Marcello Mastroianni erano perfettamente speculari e funzionali al teatrino della politica; qui, Salus è un alieno, e non viene travolta dal caos (...), anzi lo controlla, è l'unico che grazie alle virtù del silenzio sembra padroneggiare il chiacchiericcio della modernità. E' un grande personaggio, questo certosino e Servillo lo giostra con sapienza infinita. Fosse un film americano, Oscar assicurato." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 21 aprile 2016)

"Roberto Andò confeziona un film completamente disallineato, che rievoca le opere di Paolo Sorrentino ('Il Divo' e 'Youth') e soprattutto 'Todo Modo' di Elio Petri, anche se lui sottolinea come fossero le atmosfere di Polanski e Hitchcock i suoi eventuali riferimenti. L'universo chiuso dove si trovano i potenti diventa un acquario in cui osservare miserie e debolezze di chi prende decisioni terribili come se fossero astratte, come se non avessero poi implicazioni sulla carne viva delle persone, sulla vita degli esseri umani. Quella morte li ha momentaneamente spiazzati e ancor più li disorienta quel monaco che non intende rivelare alcunché, neppure sotto minaccia. Tutto si tiene per l'esasperazione e la spinta verso il grottesco che permette al racconto di non sfaldarsi nella fattualità. In questo senso il film ha un suo pathos e una sua etica con i cani e le upupe che tornano a essere quel che naturalmente sono. Forse sono un po' troppi i personaggi di contorno, le diverse sfaccettature, non solo del potere, ma anche dei suoi angiulilli custodi. Andò si muove nell'hotel come da tradizione, fuori dalle porte si vedono entrare e uscire persone, all'interno succedono cose altre. Ognuno ha un volto pubblico certo, alcuni hanno anche insicurezze private, tutti vorrebbero relazionarsi con quel monaco. II gioco dei potenti era uno spettacolo allestito da Strehler su testi di Shakespeare, Andò sa di teatro e di drammaturgia e per allestire il suo gioco ha chiamato a raccolta un cast internazionale (...) per una intrigante babele di lingue." (Antonello Catacchio, 'Il Manifesto', 21 aprile 2016)

"Piacerà per la bravura con cui Andò innesta in una trama quasi gialla un apologo esistenziale. Certo non è Bresson. Il rigore non è il suo forte. E la critica ai grandi della Terra (per cui ogni cosa è numero) non è nuovissima. Ma il carisma di Servillo riesce a tener alta la tensione." (Giorgio Carbone, 'Libero', 21 aprile 2016)

"Dopo il più riuscito 'Viva la Libertà' (...), Roberto Andò sposta il tiro ampliando lo sguardo sul potere politico, retroscenando il dietro le quinte di decisioni internazionali che finiscono per influenzare la vita di tutti noi. Lo fa con un thriller, che schiaccia l'occhio a Hitchcock, interessante per il suo spunto iniziale, ma che poi si perde, cammin facendo, tra metafisica e potere, senza offrire grandi sussulti e colpi di scena. (...) Andò non ha dubbi nel marcare nettamente (in modo anche esagerato) la differenza tra chi governa, mostrato come egoista, prepotente, cospiratore e chi, invece, si affida al bene, all'ascolto solidale dell'altro. Il suo coniugare etica a estetica, però, non sempre convince, in particolare nel fragile epilogo." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 21 aprile 2016)

"Infornato come un thriller al gusto di delitto politico, ma formalizzato per diventare apologo metafisico invece che avventura morale concreta, girato con eleganza e simmetria, un po' sprecate, è un film ponderoso, sentenzioso, innocuo, appeso a se stesso. Finale a sorpresa mistica. Tra i ruoli di Servillo, questo monaco è tra quelli in cui è chiamato a imitare se stesso." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino - Giorno', 23 aprile 2016)