Il segreto del bosco vecchio

ITALIA 1993
(Finta) Poesia fantastica del raccontino di Dino Buzzati e del suo colonnello in pensione Sebastiano Procolo che per avidità vuole tagliare gli alberi del "bosco vecchio" e uccidere il nipotino Benvenuto che una volta diventato adulto dovrà ereditare tutto.
SCHEDA FILM

Regia: Ermanno Olmi

Attori: Paolo Villaggio - Colonnello Sebastiano Procolo, Giulio Brogi - Bernardi, Silvano Cetta - L'Insegnante, Ernesto De Martin Modolado - L'Archivista, Lino Pais Marden - Il Fattore, Riccardo Zannantonio - Benvenuto, Antonio Vecellio Mattia - Vettore, Valentino Da Rin D'Iseppo - Sallustio, Dario Nicolai - Tecnico Radio, Francesco Macchietto Riade - Capo Forestale, Luciano Zandonella - Giaco, Geltrude Carli - Sorella Parroco

Soggetto: Dino Buzzati

Sceneggiatura: Ermanno Olmi

Fotografia: Dante Spinotti

Musiche: Franco Piersanti

Montaggio: Paolo Cottignola, Fabio Olmi

Scenografia: Paolo Biagetti

Costumi: Maurizio Millenotti

Durata: 124

Colore: C

Genere: ALLEGORICO

Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI

Tratto da: tratto da un racconto di Dino Buzzati

Produzione: MARIO E VITTORIO CECCHI GORI PER PENTA FILM, ROBERTO CICUTTO E VINCENZO DE LEO PER AURA FILM

Distribuzione: PENTA - PENTAVIDEO, MEDUSA VIDEO (PEPITE)

NOTE
- DAVID DI DONATELLO 1994 PER MIGLIORE FOTOGRAFIA.

- REVISIONE MINISTERO SETTEMBRE 1993.
CRITICA
"Cos'è che non funziona in un film di così ardita concezione, di così raffinata fattura? Dopo essermi arrovellato per settimane sul problema, penso di essere arrivato alla spiegazione del perchè ciò che sulla pagina di Buzzati zompa e vola, sullo schermo si blocca in un'immagine tutto sommato indigesta. In un racconto fiabesco un animale che parla è un'evocazione ritualmente prodotta da una serie di vocaboli messi in fila; e se l'autore l'ha fatto con talento come nel nostro caso, non c'è dubbio: nel cerchio magico della narrazione gli animali parlano. Sullo schermo il gioco si può imitare - aduggiato quasi sempre da tentazioni caricaturali - nei disegni animati; ma girando dal vero, come nel caso di Olmi che ha le sue radici ben piantate nel neorealismo, una gazza è una gazza, un ragno è un ragno, un topo è un topo. Con sovrapposte le voci dei doppiatori che si sforzano di immaginare come parlerebbero una gazza, un ragno, un topo, non a caso nel film l'unica voce non umana alla quale ci si abbandona con piena fiducia è quella biblica di Omero Antonutti che recita le parole del vento Matteo; e proprio perchè è invisibile. Come in letteratura talvolta vince ciò che non è scritto, nel cinema vince ciò che non si vede." (Il Corriere della Sera, Tullio Kezich, 06/10/93)

"E' difficile trovare qualcuno con cui andare a vedere 'Il segreto del bosco vecchio', e infatti i dati d'incasso confermano l'infelice riuscita commerciale del film. Le favole ecologiche, in questo fine millennio che pur ha visto l'uomo deturpare la natura nel tentativo di piegarla ai suoi voraci voleri, non vanno proprio di moda. Nel caso di Olmi, poi, sembra incidere una certa vocazione cattolica dell'uomo: nel suo cinema recente si riflette l'amore per le parabole esemplari, il candore infantile, i dialoghi edificanti. Non a caso il regista bergamasco è alle prese con la visione televisiva della Genesi che si sta girando in Tunisia auspice l'immarcescibile Ettore Bernabei. Passato fuori concorso a Venezia, Il segreto del bosco vecchio è un film ispirato e irrisolto: troppo lungo per essere una fiaba (oltre due ore), talvolta ridicolo nella scelta di rispettare alla lettera il bel racconto omonimo di Dino Buzzati (1935). Dove gli animali parlano, in un'atmosfera panteistico-antropomorfa che sulla pagina funziona magicamente e sullo schermo risulta quasi disneyana (quelle vocine infantili e melense). D'altro canto, è lo stesso Olmi a scrivere sul volume Nel bosco vecchio di Giovanni Cenacchi (Nuove Edizioni Dolomite) "Quante volte i miei figli, quand'erano piccoli, mi chiedevano: "Ma quand'è che fai un bel cartone animato?"." (L'Unità, Michele Anselmi, 06/10/93)

"Ermanno Olmi ha, fra molti talenti, un talento speciale, già notato nel suo bellissimo film sul Po, "Lungo il fiume": sa filmare la Natura (qui le foreste, le montagne e il paesaggio delle Dolomiti) dando allo spettatore l'emozione di una scoperta; come fosse la prima volta, ogni immagine precedente sembra cancellarsi; ogni estetismo, sentimentalismo o melensaggine è spazzato via dalla sua visione forte, alta. Qui, come in tutto il cinema di Olmi, la bellezza naturale non è affatto insignificante: "Il segreto del bosco vecchio", non poetico, ma ideologico, non contemplativo, ma ricco d'energia, magnificamente fotografato da Dante Spinotti, al di là del racconto fiabesco è quasi un pamphlet che pretende una nuova forma di rapporto con la Natura, armoniosa, partecipe e non utilitaristica. Il ritmo è quello dell'esplorazione, calmo, curioso, paziente, e chiede allo spettatore d'abbandonarsi alle immagini, d'immergersi nel film durante due ore e un quarto. Come tutti gli altri esseri umani, Paolo Villaggio, un cattivo rotondo triste come la smania di possesso, è rappresentato alla maniera stilizzata, ingenua e buffa delle illustrazioni dei libri per l'infanzia dell'inizio del secolo: l'unica persona realistica e autentica è il bambino, certo non per caso." (La Stampa, Lietta Tornabuoni, 02/10/93)

"Buzzati e Olmi. Predestinato, l'incontro fra i due grandi amici della montagna si realizza nel film Il segreto del bosco vecchio che il regista ha tratto da un racconto dello scrittore non ancora trentenne. Dove i due si danno la mano per cantare le meraviglie della natura e le sue leggende intorno alla storia fantastica d'un avido colonnello che, tutore d'un ragazzo al quale è destinata la proprietà d'una casa nella foresta, si propone di arricchire facendo distruggere quel bosco secolare e persino facendo morire il bambino. Se non riesce a compiere il delitto è perché gli alberi, il vento, gli animali mobilitano i loro incantesimi contro di lui, che vinto dal rimorso muore assiderato in una bufera di neve. Girata nelle Dolomiti, la favola va oltre l'ecologia: invita a riflettere sulla ricchezza simbolica del Creato e a guardare il mondo con la limpida innocenza dell'infanzia. Perciò battezza Matteo il vento che era stato incatenato in una caverna, dà voce ad una gazza messa di guardia alla casa, fa parlare le piante, e felicemente contrappone a quell'universo animistico la torva ingordigia del colonnello. Con risultati controversi. La maestria di Ermanno Olmi e la sua religiosità panica trovano infatti una vibrante conferma nei valori figurativi del film, nell'aura misteriosa che si respira nei paesaggi mirabilmente fotografati da Dante Spinotti durante il variare delle stagioni, nell'apparizione dei genii che abitano gli alberi, insomma nei modi propri del realismo magico. Ma nella seconda metà il racconto si allunga, il nucleo poetico si disperde, il profilo del bambino sbiadisce, le motivazioni psicologiche del colonnello si annebbiano, gli animali parlanti fanno irrimediabilmente pensare a Walt Disney. Buon per noi che nei panni del protagonista c'è un impareggiabile Paolo Villaggio." (L'Indipendente, Giovanni Grazzini, 12/10/93)