All'inizio degli anni Novanta, precisamente nel 1993, in molti scoprirono che per incontrare un UFO bastava accendere la televisione una volta a settimana, oltre che alzare lo sguardo verso i cieli notturni. X-Files – 11 stagioni, 218 episodi in totale – è stato un fenomeno pop di massa, un telefilm oggetto di una venerazione mondiale come I segreti di Twin Peaks (1990-91), col quale non a caso condivide molti elementi. Gran parte degli episodi di X-Files, infatti, sono ambientati in piccole realtà (paesini, comunità rurali) degli Stati Uniti, dove un tragico delitto smaschera una realtà apparentemente idilliaca portandone alla luce l'essenza oscura e paranormale. Con la differenza che l'opera di Lynch (e Frost) era un esperimento d'autore che ha sorprendentemente irretito un vastissimo pubblico, mentre X-Files era stato concepito fin da subito come un prodotto mainstream.

Ma non era un prodotto mainstream come gli altri: irrompeva in un palinsesto di telefilm omologati allo standard dell'epoca, dove ogni episodio presentava il caso della settimana che veniva risolto dai protagonisti all'interno del risicato minutaggio previsto, imbrigliato nel cosiddetto stand alone, ovvero la sua risoluzione nulla aggiungeva al flusso dell'intera stagione. I personaggi non evolvevano praticamente mai, costretti ad ogni puntata a risolvere il caso e tornarsene dietro le quinte senza memoria di quanto accaduto. Questo valeva per ogni genere, dall'A-Team (1983-87) a Supercar (1982-86) e anche per tutte le infinite sit-com di quegli anni.

David Duchovny e Gillian Anderson in the X-FILES © 2017 Fox Broadcasting Co. Cr: Shane Harvey/FOX
David Duchovny e Gillian Anderson in the X-FILES © 2017 Fox Broadcasting Co. Cr: Shane Harvey/FOX

David Duchovny e Gillian Anderson in the X-FILES © 2017 Fox Broadcasting Co. Cr:  Shane Harvey/FOX

X-Files invece, pur mantenendo viva la tradizione del caso, anzi, mostro della settimana, è uno di quei "nuovi mutanti" che aggiunge qualcosa in più e può essere considerato un primo varco verso la serializzazione, ovvero la fiction seriale come viene intesa da un buon paio di decenni abbondanti, mediante l'aggiunta di un'orizzontalità che attraversa l'intera stagione (e stagioni). Chris Carter, il creatore, è stato tra i primi a intuire e a mettere in scena un cambiamento che si è poi rivelato vincente. Non si tratta di un espediente puramente meccanico: far fiorire i protagonisti da mere figurine a personaggi più veri significa soprattutto portare in primo piano il realismo.

È interessante notare come questo movimento prenda vita in un telefilm che affronta il sovrannaturale, territorio all'opposto della concretezza e del pragmatismo. X-Files parla di UFO, extraterrestri, possessioni, deformazioni psico-fisiche inspiegabili e molto altro. A indagare su questi fenomeni un duo di agenti dell'FBI appositamente malassortito: Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson). Mulder crede all'esistenza degli alieni, Scully no. Il romantico sognatore e la pragmatica scienziata affrontano queste situazioni scontrandosi continuamente con un misterioso ente governativo che nasconde l'esistenza degli alieni ed è coinvolto in una serie di giochi di potere tra opposte fazioni.

La scrittura degli episodi è semplicissima e ben rodata, costruita come i classici gialli di indagine. Carter ha capovolto anche il dualismo uomo/donna, che generalmente prevede che la razionalità sia maschile e il sentimento femminile; lo "Scully Effect", per dirne una, ha modificato i sogni e gli studi delle bambine, con un aumento delle iscrizioni delle ragazze alle facoltà STEM. Innegabile l'influenza di X-Files su cinema e serialità a seguire; rimanendo nell'ambito della narrazione degli alieni, impossibile tra i molti non citare Signs (2002), dove la minaccia extraterrestre è la base per un efficace scifi-thriller ma anche un mezzo per mettere in scena il dramma personale del protagonista (non a caso un pastore protestante che ha perso la fede).

X-Files (Webphoto)
X-Files (Webphoto)

X-Files (Webphoto)

L'eredità del telefilm di Carter è ancora più evidente nella longeva serie Supernatural (2005-20) in cui i due fratelli Sam (riluttante) e Dean (convinto), dannati da un episodio paranormale avvenuto durante la loro infanzia proprio come Fox Mulder, si mettono in cerca della verità in un lungo on the road che tocca le location più chiuse e folkloristiche degli Stati Uniti. Nonostante l'orizzontalità ben definita, la serie riserva spazio agli episodi autoconclusivi, ancora una volta quegli stand alone capaci di fidelizzare il pubblico in qualsiasi momento della stagione. Il bacino da cui pesca il creatore Eric Kripke (e i suoi autori) si avvicina a quello in cui attinge Carter: leggende metropolitane, storie inverosimili, miti popolari.

Un'altra serie che ha molte affinità con X Files (e non soltanto) è Fringe (2008-13). Gli ideatori J.J. Abrams, Alex Kurtzman e Roberto Orci indagano per cinque stagioni la cosiddetta "fringe science", che raccoglie sotto la sua egida fenomeni inspiegabili, cui un'apposita divisione dell'FBI tenta di dare una spiegazione. X-Files si inscrive nella tradizione della sc-fi statunitense anni '50, un corpus di b-movie destinati a un pubblico di ragazzini più interessati a UFO sbalorditivi, mostri giganti e animali impazziti che alle storie personali dei protagonisti, innestandovi però una corposa componente drama molto realistica che convive comunque con il tono più ingenuo da teoria del complotto.

X-Files (Webphoto)
X-Files (Webphoto)

X-Files (Webphoto)

X-Files contiene moltitudini di scelte stilistiche e generi, ed è uno dei primi esempi di show televisivi capaci di formulare un'idea postmoderna dell'intrattenimento seriale. Episodi come il controverso Home, che parte come un calco semplificato di Non aprite quella porta, crea un'atmosfera intensa, con scelte di messa in scena e fotografia che non sfigurerebbero sul grande schermo, riesce a riproporre efficacemente il social commentary incastonato nel capolavoro horror di Tobe Hooper declinandolo in una tonalità mainstream, con personaggi più tridimensionali e toccanti.

X-Files afferma con forza il diritto della serialità di fagocitare, rielaborare e riproporre senza drastici cambiamenti una fetta di cultura pop utilizzata come un abbeveratoio espressivo (per intenderci, quello che ha sempre fatto Dylan Dog nell'ambito del fumetto seriale). Eppure riesce a essere originale e fresca, anche in virtù della grande empatia che crea con i due protagonisti di serie. Se per ogni Incontri ravvicinati del terzo tipo, Alien, E.T. o La cosa abbiamo dovuto pagare il dazio di successivi prodotti derivati, spesso al limite del plagio e vessati da una povertà produttiva che li azzoppa inesorabilmente, nel caso di X-Files gli alieni hanno dato la loro benedizione alle menti creative dietro la serie perché prendessero e rimodulassero gli standard dell'immaginario collettivo di fantascienza – anche se la qualità degli episodi oscilla spesso tra picchi di eccellenza e momenti poco riusciti.

I want to believe, "voglio crederci", recita il mitico poster appeso nell'ufficio di Mulder, ed è un motto che potrebbe adattarsi perfettamente alle modalità di fruizione di una serie la cui attrazione si basa tanto sul sense of wonder infantile quanto sulla tridimensionalità di personaggi e situazioni.