Ognuno di noi si porta dietro immagini, suoni, colori, odori, che per un motivo o per l'altro, o senza motivo, hanno segnato i vari passaggi dell'esistenza. Dalla nostra infanzia, anche dall'adolescenza certo - ma lì intervengono altri elementi, quali la ragione e una personalità già formata, a restituire il senso di una situazione, di un contesto - si riaffacciano continuamente momenti, figure, canzoni, eventi che il nostro cervello non ha mai scartato, andando a comporre quel fantastico puzzle che in maniera abbastanza sbrigativa definiamo memoria.

Dalla tragedia di Vermicino (1981) al secondo scudetto della Roma (1983), passando per il Mundial dell'82 e l'incubo dell'Heysel (1985), la catastrofe di Chernobyl e il Diego Armando Maradona di Messico '86: in mezzo il videoclip di Thriller (1984) e, sì, inevitabilmente, quell'immagine corale che andava a riempire lo studio dove venne eseguita ed incisa We Are the World.

Da Michael Jackson a Lionel Richie, da Ray Charles a Stevie Wonder, da Cyndi Lauper a Bruce Springsteen, da Tina Turner a Diana Ross, da Bob Dylan a Billy Joel, da Dionne Warwick a Paul Simon, quel brano (e quel video) entrò prepotentemente nel nostro immaginario di ragazzini che ancora non avevano compiuto dieci anni e che continuavano a costruire il proprio arredo di cultura audiovisiva solamente attraverso i mezzi allora disponibili: la radio, lo stereo e la tv.

The Greatest Night in Pop. (L to R) Lionel Richie and Michael Jackson in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. (L to R) Lionel Richie and Michael Jackson in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. (L to R) Lionel Richie and Michael Jackson in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024

Quello che accade ritrovandosi ora al cospetto di We Are the World: La notte che ha cambiato il Pop, documentario disponibile su Netflix diretto da Bao Nguyen e prodotto da Julia Nottingham, dunque, è qualcosa che in un certa misura ridefinisce, senza alterarne però la magia, quel frammento passato alla (nostra) storia e caratterizzato da un irripetibile ensemble di superstar musicali.

Come noto, l'idea di We Are the World partì da Harry Belafonte, promotore del progetto USA For Africa e deciso a coinvolgere gli artisti afro-americani affinché si attivassero per aiutare paesi come l'Etiopia, devastati da una tremenda carestia. Aiutato da Ken Kragen, potente manager e produttore, e sulla scia del Band Aid partito l'anno precedente in Gran Bretagna grazie a Bob Geldof e Midge Ure con il singolo Do They Know It's Christmas?, Belafonte riesce a coinvolgere in prima battuta Lionel Richie che a sua volta chiama a sé Michael Jackson, in quel momento la più grande popstar del mondo.

Impreziosito dai racconti diretti dello stesso Richie, di Cyndi Lauper, di Bruce Springsteen, di Sheila E (che spiega nel dettaglio perché la megalomania di Prince lo portò a snobbare l'evento, salvo poi comporre in solitaria 4 the Tears in Your Eyes che andò ad aggiungersi all'album), oltre a vari tecnici e addetti alla produzione che presero parte al progetto, La notte che ha cambiato il Pop ricostruisce la gigantesca impresa di mettere insieme il più straordinario super-gruppo del mondo in un'epoca antecedente ai telefoni cellulari e alle email.

La notte in questione fu quella del 28 gennaio 1985, serata in cui poco prima si erano svolti gli American Music Awards (condotti proprio da Lionel Richie, che tra l'altro venne premiato più volte...) a Los Angeles, occasione irripetibile per avere nello stesso luogo contemporaneamente tutti (o quasi) gli artisti poi coinvolti in We Are the World. Ma in quella sala d'incisione agli Hollywood’s A&M Studios (oggi Henson Recording Studios) arrivò anche chi, come Bruce Springsteen, agli AMA non aveva partecipato e anzi dovette partire appositamente da una Buffalo innevata dove il giorno prima aveva concluso un tour.

The Greatest Night in Pop. (L to R) Quincy Jones, Michael Jackson and Lionel Richie in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. (L to R) Quincy Jones, Michael Jackson and Lionel Richie in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. (L to R) Quincy Jones, Michael Jackson and Lionel Richie in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024

"Lasciate il vostro ego fuori dalla porta".
Solamente un personaggio gigantesco come Quincy Jones avrebbe potuto accogliere in questo modo, con un cartello affisso all'entrata nello studio, i 45 artisti coinvolti: solamente lui, probabilmente, tra i più grandi producer musicali della seconda metà del Novecento, sarebbe stato in grado di tenere a bada le inevitabili situazioni limite che si sarebbero potute creare tra stelle di quella portata, alcune peraltro chiamate a piccole parti da solisti ed altre no (e infatti Sheila E quando capisce che per lei non era prevista abbandona la sala...), alcune più esuberanti (Wonder, Charles, Jarreau), altre notoriamente a disagio in contesti simili, su tutte Bob Dylan, cosa ben evidenziata da un paio di riprese che vanno a formare l'insieme dei molti filmati inediti che raccontano di quella notte incredibile. O dei giorni subito precedenti, con Lionel Richie e Michael Jackson impegnati nelle sessioni di scrittura e convinti di avere molto più tempo a disposizione…

The Greatest Night in Pop. Cyndi Lauper in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. Cyndi Lauper in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. Cyndi Lauper in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024

Tra problemi tecnici (un rumore di troppo in cuffia per Dionne Warwick, "fantasmi...", "E chi chiamiamo?", "Ghostbusters!", riferendosi a Dan Aykroyd lì a fianco, ) e momenti di ilarità contagiosa ("Non sbirciare eh!", si sente urlare a Stevie Wonder intento ad accompagnare Ray Charles al gabinetto...), proposte difficili da mettere in pratica (lo stesso Wonder che avrebbe voluto inserire alla canzone delle strofe in swahili, lingua che peraltro con l'Etiopia c'entra poco...) e passaggi a vuoto da ricalibrare con pazienza (il tasso alcolemico di Al Jarreau sopra i livelli di guardia), la nottata è sfiancante e apparentemente infinita. Il risultato però - d'accordo, la canzone non sarà la 9° di Beethoven - è Storia.

E lo capiremo solo una manciata di settimane più tardi, quando il singolo uscì in poco meno di un milione di copie (subito esaurite) e qualche giorno dopo 5000 stazioni radiofoniche lo trasmisero in contemporanea in tutto il mondo. Alla fine le copie diventarono 20 milioni e l'incasso racimolato per la causa benefica intorno ai 100 milioni di dollari. Senza contare le innumerevoli manifestazioni - che oggi chiameremmo flash-mob - in giro per il mondo con folle più o meno eterogenee ad intonare quello che divenne un vero e proprio inno.

The Greatest Night in Pop. (L to R) Michael Jackson and Bob Dylan in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. (L to R) Michael Jackson and Bob Dylan in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024
The Greatest Night in Pop. (L to R) Michael Jackson and Bob Dylan in The Greatest Night in Pop. Cr. Courtesy of Netflix © 2024

E che dopo quasi 40 anni ancora canticchiamo, di tanto in tanto, dimenticando magari che Ray Charles, Michael Jackson e Tina Turner non ci sono più, perché in fondo quello che resta è l'immagine, la canzone, e tutto quello che c'è stato dietro quella notte incredibile.

"We Are the World, We Are the Children”...