In un momento in cui si parla molto di “merito”, inteso nei termini di una retorica tossica che finge di dimenticare le disuguaglianze di partenza (esistono ancora, eccome se esistono) e sembra ignorare gli incidenti nei percorsi nei quali ognuno di noi può incappare, non sorprende il successo di Tutto chiede salvezza. E rincuora. Perché prende di petto qualcosa che fino a pochi anni fa rappresentava un tabù: il disagio mentale.

È vero, il cinema italiano ha spesso costeggiato questo tema, pensiamo a Marco Bellocchio, Marco Ferreri, Silvano Agosti. Ma sono autori che fanno parte di una generazione legata alla lezione e alle battaglie di Franco Basaglia, alla psichiatria vissuta come lotta all’esclusione nella società. Dopodiché i “matti” (che siete voi, cioè noi, direbbe De Gregori) sono rimasti esclusi dal discorso, un po’ perché si fatica a collocarle in certi discorsi troppo codificati e un po’ perché – ammettiamolo – fa paura confrontarsi con i propri abissi.

Il fatto che Tutto chiede salvezza adatti un memoir (di successo) non è casuale: c’è un’esperienza diretta, quella di Daniele Mencarelli, riletta da un autore, Francesco Bruni, il migliore narratore di giovani del cinema italiano nonché uno che conosce – per citare un altro libro, bellissimo, sulla salute mentale, firmato dallo psichiatra Paolo Milone – l’arte di legare le persone. Un dato autobiografico che costituisce la chiave per raccontare l’ampio spettro del disagio, da quelli più gravi perché “visibili” a quelli più perturbanti perché sommersi o meno “esteriori”.

Nella realtà, Mencarelli, in seguito a un episodio psicotico, venne ricoverato in regime di TSO, nell’estate dei mondiali del 1994; la serie sposta la vicenda ai giorni nostri, incentivando il coinvolgimento del suo pubblico ideale, che è quello che per anagrafe ed emozioni si riconosce nel protagonista. È Federico Cesari, un bravissimo attore emerso con una serie, Skam, che più di ogni altro prodotto mediale ha dialogato con i sogni e i bisogni di una generazione. Di quei ventenni che – giova a ricordarlo – sono coloro maggiormente feriti dalla pandemia, dal confinamento coatto all’inquietudine di fronte al ritorno alla socialità spesso complicatissimo.

Non è un caso che un anno fa lo stesso pubblico si sia rispecchiato in un’altra storia di Netflix, Strappare lungo i bordi: con ironia e leggerezza, Zerocalcare toccava temi complessi come la fragilità, l’inadeguatezza, lo spaesamento, il suicidio, proponendo una via d’uscita per accettare il male nella quotidianità. E non è un caso che uno degli album più venduti e ascoltati dell’ultimo anno, Noi, loro, gli altri di Marracash si concentri su temi affini: le dipendenze, l’insonnia, la frammentazione dell’io, il disagio psichico.

Al di là del suo valore artistico (ottimo), Tutto chiede salvezza – che vanta una title track di Side Baby, figlio di Bruni, altro artista sensibile a queste tematiche – dimostra il disperato bisogno di storie che non si vergognano di guardare in faccia qualcosa che è presente nel nostro quotidiano. E che riguarda tutti, non solo chi, in una torrida estate, si ritrova in un reparto di psichiatria a combattere con i propri demoni.

Tutto chiede salvezza
un sasso sopra il cuore
sono stanco di star male
non respirare
pianta di radici senza foglie, frutta e fiori
cerco luce per salvarmi, per tornare a respirare